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Le api e i tritoni di Piazza d’Armi

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

Le api e i tritoni di Piazza d’Armi: “fate il verde, non la guerra! (alla natura)”

Il futuro dell’oasi naturale spontanea di Piazza d’Armi è ancora incerto. I 35 ettari di bosco spontaneo e prati a pochi chilometri dal centro di Milano, dove un tempo si esercitavano i soldati sui carri armati, sono un ecosistema che protegge dal calore, pulisce l’aria, ospita animali selvatici e insetti utili.  Da molti anni i cittadini si danno da fare per salvarla e trasformarla in un’occasione di rigenerazione urbana. Sono arrivate vittorie: vincolo dei Beni Culturali, edificazione solo su una piccola parte dell’area e mantenimento del verde. Ma l’urbanizzazione non si ferma facilmente e si resta in allerta

Il cannone di un carro armato spunta da un avvallamento, la macchina da guerra s’alza e scavalca il dosso, s’abbassa di nuovo sferragliando nella cunetta successiva. Non è un colpo di stato, è solo un’esercitazione, un trastullo bellico. Soldatini appostati dietro a sacchi di sabbia provano le armi in un campo fatto ad arte a somiglianza di un campo di battaglia. Altre volte, con i carri armati a riposo, brucano le pecore. Vedevo queste cose strane passando in bicicletta andando dai parenti a Baggio, proveniente dallo stadio.

In quelle vaste praterie fra il Parco di Trenno, il Monte Stella, l’ippodromo e le cave, inframmezzate da quartieri nuovi e popolari o lussuose enclaves a San Siro, si poteva andare quasi dovunque. Si poteva entrare di nascosto a giocare a calcio nel verde dell’Ippodromo, esplorando case abbandonate e adocchiando i fantini in sella. Salire sulla Montagnetta, ammirando il panorama dei palazzoni che sorgevano come funghi e nelle rare giornate senza smog vedere le montagne. Vagare nel parco di Trenno e nei terreni rimasti incolti e non edificati fra la via Novara e via Forze Armate. Ma in quel pezzo di terra, no. Unico, invalicabile, blindato. Il fortino militare, proprio come quelli del Far West, cintato e chiuso dal filo spinato, conteneva le truppe che dovevano assicurarci la difesa dagli invasori e l’efficienza dell’esercito. Attorno, oltre alla caserma Santa Barbara dove erano ospitati i soldati, l’ospedale militare dove le reclute andavano a “marcare visita”. Vicino, il nuovo ospedale torreggiante, il San Paolo, a similitudine dei palazzi di periferia, e lo stadio, dove si ammassavano le auto e i tifosi nelle giornate delle partite o nei primi concerti di massa. Lungo la via Forze Armate resisteva anche una sorta di accampamento, le “case minime”, poi abbattute e sostituite da edifici in stile sovietico appena ingentilito, come in ogni periferia che si rispetti.

Era la più grande zona militare all’interno di un’area urbana in Italia. Prima che arrivassero i carri armati erano stati campi. Il classico e banale “qui era tutta campagna”, fra Milano e l’allora comune di Baggio e altri piccoli comuni agresti di cui resta il ricordo nel nome di alcuni quartieri (Sella Nuova, Quarto Cagnino, Quinto Romano). L’apparato militare fino a metà Ottocento era stato dove c’è ora il Parco Sempione; si spostò dapprima nella zona dove ci fu la Fiera e ora c’è Citylife. Infine, fu espulsa da Milano che si allargava a macchia d’olio e planò alla fine degli anni Venti ai confini di Baggio sfrattando il primo aeroporto di Milano, da cui partivano anche i dirigibili.

 Il grande prato e in fondo l'ospedale San Carlo

Le mani sulla città

Sono passati decenni da quando hanno smesso di scorrazzare i mezzi blindati. Nel frattempo, la leva militare è opportunamente sparita, la terra si è ripresa dal peso dei cingolati e la natura ha fatto il suo corso. Appena può rinasce e fiorisce. È nata una piccola foresta spontanea, come l’altra della Bovisa attorno ai gasometri dismessi (ne ho parlato qui>>).

La storia si ripete: la Piazza d’Armi attuale potrebbe diventare un secondo Parco Sempione, periferico ma non meno grande, più selvatico e salutare. Dopo l’unità d’Italia, si voleva edificare anche sulla vecchia piazza d’armi centrale; si propose perfino di abbattere il Castello Sforzesco! La cittadinanza protestò contro i vandali metrocubisti facendo fare marcia indietro ai loro complici istituzionali. Da quel movimento intellettuale e politico contro l’edificazione selvaggia nacquero i primi piani regolatori, ovvero ci si diede un sistema per governare l’espansione della città. Sistema che si trovò ovviamente modo di aggirare con le varianti, sovvenzionate da laute prebende: il “rito ambrosiano” della speculazione. Ma almeno portò fuori dall’anarchia urbanistica totale, condannandoci semmai alla corruzione endemica e permanente. Almeno i costruttori dovettero restituire qualcosa alla collettività, sotto forma di oneri di urbanizzazione, pagando qualcosa insomma perché strade e servizi fossero fatti attorno alle case. E rimanesse un po’ di verde.

Dismessa, Piazza d’Armi è diventata una delle aree “improduttive” come gli ex-scali ferroviari, le fabbriche o altri accidenti della storia. La metropoli sembra smaterializzarsi, prima terziarizzata e svuotata dalle produzioni ma ormai anche degli uffici e dei call center, che funzionano meglio e a costi più bassi a Bangalore, in Albania o in Cina, e in tempi di lockdown restano vuoi per lo smart working. È una metropoli che non sa ancora che cos’è e cosa può diventare, ma certo non può essere solo un’expo permanente, tutta movida, meeting e mobilità scatenata, nuovi stadi e olimpiadi. Non può esserlo più, soprattutto ora che a dircelo in modo convincente è il Virus, che dovrebbe scoraggiare gli assembramenti ma anche la densità abitativa che li favorisce, distanziare le costruzioni, lasciare che circoli un po’ d’aria, smettere di consumare inutilmente suolo costruendo case e uffici che restano per metà vuoti. Eppure, l’apparato malavitoso-edilizio-finanziario sembra proseguire insensato e inesorabile a proporre costruzioni che distruggono la natura e la socialità. In una metropoli che ha milioni di metri cubi di case e uffici vuoti, perpetua se stesso come un Moloch impazzito.

Il bosco clandestino

Dicevo: quella nata a Piazza d’Armi è una foresta vergine di Milano, spontanea, non piantata da mani umane. Il terreno era rimasto del demanio; se non è già sparito tutto sotto i soliti palazzoni è solo per la vischiosa inerzia burocratica che l’ha lasciato lì, vuoto, per decenni. A un certo punto però, dismesse anche le caserme, tutto quanto venne messo in mano all’INVIMIT – “Investimenti Immobiliari Italiani Società di gestione del Risparmio Società per Azioni”, marchingegno finanziario che ha il compito di fare cassa vendendo beni demaniali. Gestisce il risparmio acquisendo beni pubblici per rivenderli. “Valorizzare” è il mantra di questa finanza astrusa che, a braccetto con i “costruttori”, considera valore solo quello pecuniario, scartando dalla realtà arbitraria che si inventa qualsiasi cosa non sia monetizzabile, anche se fornisce vita, ossigeno, acqua, pulizia e identità sociale. Logica economicistica, che non sta certo a considerare aspetti banali come quelli della salute, dell’ecologia e della vita quotidiana concreta di chi abita attorno ai beni da vendere. Finanza incombente che permea di sé anche le istituzioni pubbliche – quando non le occupa direttamente con propri uomini. Le istituzioni dovrebbero rappresentare invece i comuni cittadini, ma che spesso, al contrario, si dimenticano di esercitare quello che sarebbe il loro ruolo, quello per cui sono nate, ovvero proteggere chi vive in città dalle orde dei barbari e dallo strapotere dei signori, dei feudatari e degli imperatori. Oggi come 800 anni fa. Le istituzioni cambiano forma, già successe che dai Comuni si passò alle Signorie, anticamera del disastro italiano, facendo prevalere l’interesse di qualcuno su quello di tutti e lasciando campo aperto alle dominazioni straniere. Ci risiamo? A un certo punto si era anche sentito ipotizzare che vi si facesse in campo di allenamento dell’Inter, progetto rientrato; di questi tempi sembra che le multinazionali pallonare siano più interessate a fare un nuovo stadio, sempre a discapito di un parchetto dedicato a due grandi del calcio milanese sorto a fianco dell’attuale stadio Meazza. Ma questa è un’altra storia, come quella del destino dei vicino Ippodromo, ulteriore zona verde aggredita, con le storiche scuderie e gli alberi che le accompagnavano, distrutti. Tutto ciò che è verde a Milano è sempre precario, come i polmoni degli abitanti. L’allarme nasce quando appaiono dei documenti termini apparentemente asettici come ATU (Ambito di Trasformazione Urbana), liberamente traducibili però con “zona dove costruire”.

 L'attuale progetto

Un nuovo Parco Sempione di periferia, ma più selvatico?

Anche in questo bosco spontaneo, come alla Goccia, si entra di straforo. Di straforo ci cominciarono a entrare cittadini che si sono presi a cuore il posto. Fra questi, le Giardiniere, un gruppo di donne che si richiamano addirittura, nel nome dell’associazione, alle carbonare dell’Ottocento che cospiravano per la libertà d’Italia e il bene comune (parole d’ordine: “Costanza e Perseveranza” e “Onore e Virtù”). E con loro tante persone, architetti paesaggisti, docenti di Agraria, associazioni che si danno da fare (“Far West ribelle”, si legge su uno degli striscioni alle manifestazioni). Si fanno convegni e visite guidate, censimenti della fauna e della flora (molti pioppi e salici ma anche piante rare), si consultano leggi e regolamenti contestando nel merito i dogmi dello sviluppismo, facendo studi naturalistici e proposte sociali alternative. Si fa una festa della “Repubblica delle api”: attorno al parco ci sono orti nei quali si allevano milioni di api che impollinano, producendo bellezza e salute oltre che dolcezza. Si ottiene un vincolo del Ministero del Beni Culturali e si riesce a convincere (a forza, si direbbe) il Comune, che ahimè s’era fieramente opposto al vincolo stesso. Interviene anche il Parlamento europeo che “fa suo l’appello dei cittadini contro il possibile scempio nell’ex Piazza d’Armi” e invita gli Enti – “a preservare i suoi valori ambientali, paesaggistici, storici-architettonici” nonché “a porre vincoli urbanistici con gli appositi piani regolatori e paesaggistici”. Ora la situazione è questa: il PGT, Piano di Governo del Territorio del Comune destina a verde 31 ettari, ma sui rimanenti quattro potrebbero essere costruiti palazzi per “una volumetria pari a tre Pirelloni e mezzo!”. Con una petizione l’anno scorso i cittadini hanno chiesto di tutelare, invece, tutta la superficie. Le Giardiniere dicono che è stata comunque una grande vittoria. Le proposte per questo secondo Parco Sempione sono varie: dalle api all’educazione ambientale, dalla coltivazione biologica al collegamento con il vicino Parco delle Cave nel grande sistema verde dell’Ovest milanese. Il riferimento culturale è il Terzo Paesaggio di Gilles Clément, paesaggista francese, che l’ha definito “il terreno di rifugio della diversità, respinta dagli spazi dominati dall’uomo”. Se son rose…

Alcuni meno ottimisti stanno ancora sul chi va là, anche perché sono stati abbattuti quasi tutti i magazzini militari; se ne sono salvati i pochi da vincolare come beni culturali e testimonianze storiche e si spera possano essere riutilizzati a scopo sociale. Questi lavori hanno sconfinato anche dentro l’area più selvatica, sono stati fatti campionamenti per le bonifiche, le ruspe hanno circolato la circolazione e hanno inciso pesantemente sull’ambiente circostante, alterando terreni e acque e facendo fuggire gli animali. Il problema è: quale verde resterà? Quello addomesticato che il Comune propugna, o il selvatico attuale, che ha ben altro spessore per la nostra salute? Dovranno riprendere le manifestazioni di dissenso, secondo alcuni difensori dell’area.    

Un’oasi di silenzio

Quando si entra a visitare il bosco, si rimane a bocca aperta. È una visita informale, nel 2019, con la presenza di agronomi e naturalisti. In breve ci si trova in una foresta vergine. A parte il grande pratone dedicato al Polo, dove mai si sono visti alberi così frondosi con foglie così lustre, dove si respira un’aria così frizzante e piena di profumi, dove si trovano prati ripieni di menta e fiori, farfalle, api, mantidi religiose, a Milano? Neanche alla Goccia di cui ho già detto, dove in passato c’è stato inquinamento pesante con gas e altri prodotti chimici (del resto, là alla Goccia, essi sono sprofondati ormai e sono stati in gran parte emendati dalla vegetazione). Qui non ci sono stati, per ora.

Nel verde ci sono anche segni di presenze umane, baraccamenti semiabbandonati; spesso il verde non tutelato, lasciato andare in malora per poterci poi costruire, attira sbandati su cui è facile puntare il dito. Ci sono uccelli, fagiani in lontananza nel pratone, ci sono querce, pioppi, aceri, salici dalle foglie lucide e pulite, vigorose, non moscie e sofferte come quelle dei poveri alberelli piantati uno lontano dall’altro lungo le vie di scorrimento e di fianco ai condomini, sfiancati eroi che ci danno aria a prezzo della loro salute e vigoria. Ci sono specchi d’acqua che si formano periodicamente secondo le piogge; ospitano anfibi, compreso il raro tritone preso a simbolo dai “ribelli selvaggi resistenti” del luogo, con ben due varietà, il tritone crestato e il tritone punteggiato. Oggi non li vediamo ma abbondano altri animali, alcuni dei quali tutelati dalle leggi come il tritone, il rospo smeraldino, i rapaci (lo sparviere nidifica e vive qui tutto l’anno, c’è il gufo reale, ci sono i picchi verde e rosso, l’airone, la ballerina bianca).

 Il tritone crestato

Infine, ma non ultimo: questo è forse uno dei punti più silenziosi di Milano. Lontano sia dal centro sia dalle tangenziali, da grandi arterie trafficate come da impianti rumorosi. Andrebbe tutelato così com’è solo per questo! Un’oasi di silenzio! Dove fare visite guidate alla scoperta di questo stato fisico e mentale sempre più raro. Dove altro mai nella metropoli le orecchie possono riposare, oltre che i polmoni prendere fiato? Ma le ruspe nel frattempo hanno già profanato anche questo.

 L'area selvatica al centro dell'ex-Piazza d'armi

Le api operose

Il vicino parco delle Cave è bellissimo, ma frequentatissimo, come il Monte Stella, il Parco di Trenno e il Boscoincittà. Questi grandi parchi sono preziosi ma antropizzati, compreso il Boscoincittà che comunque non è un’oasi ma ha una forma di tutela forte data dalla cancellata sulla via Novara e dalla presenza continua degli operatori e dei volontari. Quest’area selvaggia è il terminale di un corridoio verde che arriva a pochi chilometri da Piazza Duomo; dovrebbe avere al centro un’oasi vera e propria, per salvare la fonte stessa della vita, la biodiversità. Che è la nostra vera ricchezza.

Se si riuscirà a fermare l’armata dei costruttori-distruttori, l’ex Piazza d’armi potrebbe diventare una zona mista agricola e naturalistica. La parte più selvatica dovrebbe essere visitabile solo in modo controllato.  Proprio come un malato anziano che rischia un’infezione a contatto con portatori sani, come un neonato che ha bisogno di calma per conservare il sorriso.

La presenza delle api è benaugurante. Gli apiari degli orti vicini hanno aiutato la natura a prosperare; e fra i progetti delle Giardiniere c’è quello di continuare la tradizione. L’ape è un insetto meraviglioso, utile, che lavora e comunica e sa fare gruppo come nessun altro, adattabile, con una sua intelligenza collettiva. Punge se lo aggrediamo ma possiamo convivere con beneficio reciproco. Proprio come la natura. L’ape insegna la cooperazione, la perseveranza e la continuità di impegno, l’umiltà e l’ingegno (le cellette sono forme geometriche! Chissà, forse non esiste solo una forma di evoluzione, quella umana… le api ci sono da 100 milioni di anni, sono “evolute” o meglio perfette nella loro natura da allora, se non ci fossimo noi a inquinare resterebbero per chissà quanto). Anche al Parco Sempione, qualcuno ricorderà, fino agli anni Settanta c’era un apiario, a scopo didattico, per far vedere ai bambini le api e come si fa il miele ma anche per aiutare i fiori del parco. In effetti, l’apicoltura urbana sta tornando in tutto il mondo: garantisce impollinazione e quindi fioriture e vita delle piante, un servizio essenziale per l’ecosistema. E fa da indicatore ecologico: dove ci sono le api c’è vita. Resteranno? Al Parco Sempione invece delle armi oggi ci sono verde e grandi alberi, biblioteca, arte e musei, torri panoramiche, ristorazione e quel po’ di ossigeno che si respira in centro. Anch’esso avrebbe potuto essere distrutto; speriamo che la storia si ripeta, sì, ma con lieto fine.

Area naturale ex-Piazza d’armi

Come ci si arriva

Con i mezzi: autobus 163, via delle Forze Armate 170 all’altezza del Campo sportivo “Visconti”

In auto o in bicicletta:  come sopra

Apertura

Chiuso al pubblico. Le Giardiniere conducono iniziative culturali e i comitati organizzano manifestazioni e incontri.

A chi rivolgersi

Associazione Parco Piazza d’Armi - Le Giardiniere www.legiardinieremilano.it (sul sito si trovano video, documenti e cronistoria)

L'associazione precisa: "L’eventuale edificazione riguarda l’area degli ex magazzini, non l’area verde salvaguardata dal vincolo e inserita nel PGT come parco pubblico di circa 32 ha. L’ass. Parco PdA le Giardiniere chiede la conservazione della biodiversità e della naturalità, la salvaguardia degli alveari, e l’ampliamento del frutteto che già c’è in un frutteto condiviso. E che la praticabilità del parco naturale non sia legata a un suo stravolgimento. E chiede che anche il boschetto di 2 ha, a latere del sedime degli ex magazzini, venga lasciato a verde."

 

Coordinamento Comitati per Piazza d’Armi (pagina facebook Difendiamo Piazza d’Armi): ecco cosa hanno scritto nel marzo 2020  

“TRITONI DI PIAZZA D'ARMI: L'ULTIMA PRIMAVERA?”

La primavera tarda ad arrivare tra le decine di pozze d’acqua di piazza d’Armi, tra via Novara e viale delle Forze Armate. Lì, dove lo scorso anno era tutto un brulichìo di vita, oggi regna il silenzio, freddo, quasi surreale. Quasi che tritoni, rospi smeraldini e rane sentissero il peso del cielo plumbeo che copre i 34 ettari di tesoro naturalistico sconosciuto persino a chi ci abita di fronte. Le ruspe che hanno distrutto i magazzini militari sono ferme, nessuna presenza nelle vicinanze: quale momento migliore per esplorare l’Oasi di Piazza d’Armi? L’idea è quella di censire e indicare tutte le pozze d’acqua che hanno resistito ai pesanti interventi degli ultimi anni, la spianatura del campo di polo e i campionamenti per le bonifiche,movimento di terra pesante, svolto con ruspe che hanno distrutto gran parte della biodiversità che sino a pochi anni fa insisteva nell’area, segnando solchi profondi, oggi completamente coperti da piante spontanee, difficili da superare per molti degli anfibi più rari che popolano l’Oasi. Purtroppo, dopo un autunno ricco di precipitazioni a dicembre 2019 le piogge si sono quasi interrotte, causando un disastro nel delicato habitat delle zone umide. Molte delle pozze esistenti lo scorso anno sono prosciugate e anche quelle superstiti soffrono di una pesante eutrofizzazione. Secca è la pozza a fianco degli orti, lo scorso anno ricca di tritoni mentre di tutte le pozze che costeggiavano Forze Armate, dove fino un anno fa gracidavano rospi e rane, restano solo spoglie piante palustri, rinsecchite. Resiste, indistruttibile, con profondità superiori ai 40 cm nelle parti centrali, la enorme pozza al centro di piazza d’armi proprio di fronte alla struttura in cemento che fungeva da ‘ponte’ per i mezzi militari. Dietro tra le buche, quasi sparite sotto una coltre di rovi che impedisce il passaggio all’uomo, ecco che si presenta l’habitat forse più intatto dell’intera Oasi, un ambito paesaggistico urbano di gran pregio, nella primavera capace di regalare insoliti palcoscenici vegetali. Fiori di prugni selvatici, violette appena spuntate, erbe di molteplici specie nascondono due pozze non grandi ma profonde. Anche qui, nonostante la lunga osservazione, non si notano girini né tritoni mentre alcune api, di cui tutta l’area è ricca, fanno capolino tra i fiori. Più in là un picchio sta preparando un nido mentre un veloce battito d’ali nasconde un imprecisato volatile giunto, forse, in esplorazione dalle vicine Cave di Baggio. Lì tra le decine di alberi, tra cui alcuni maestosi pioppi neri, c’è il bosco, un fitto groviglio di piante e rami che termina in via Mazzarino. Poco più avanti un’ombra entra furtiva a piazza d’Armi: un buco nella recinzione è stato praticato proprio di fianco all’entrata del campo sportivo mentre poco più in la, verso le case nuove di via Cenni, uno sfasciacarrozze abusivo continua placido ad armeggiare tra motori e carrozzerie, in uno spaccato di pochi metri che racchiude (speriamo) il passato e il futuro di questo tesoro naturalistico unico per la città di Milano. Il tramonto intanto, copre di rosso il prato del polo, colorando di un ultimo bagliore le cime degli alberi: visione più unica che rara all'interno del tessuto urbano della città. Una veduta dal pregio inestimabile che rischia di scomparire per sempre se le sciagurate scelte del Comune di Milano copriranno l'ennesimo orizzonte urbano di grattacieli e bitume, a chiudere per sempre gli spazi di questo stupendo paradiso nascosto.”