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Il riccio e il mandala delle erbe al Parco dell'ex Paolo Pini

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

Il riccio e il mandala delle erbe – natura e arte al Parco dell’ex Paolo Pini, Affori

Un bellissimo parco in città ospita iniziative ecologiche, culturali e di solidarietà sociale nell’area che un tempo fu il manicomio, ad Affori. Un polo di vera eccellenza milanese, gestito da associazioni e aperto a tutti. Con tante sorprese per chi non vi ha mai fatto capolino: il mandala delle erbe e il Giardino degli Aromi coltivato con le piante officinali, gli animali selvatici, il museo d’arte, l’unica scuola di agraria a Milano, tanti grandi alberi e gli orti comunitari.       

“Da vicino nessuno è normale”. Versione moderna di “Lasciate ogni speranza…”, o significa proprio il contrario? Il dubbio resta, quando si arriva al Muro e si legge quella scritta. La grande muraglia è ad Affori, estrema periferia a nord di Milano. Un diaframma che tentava di separare due mondi, che però la poesia, l’arte e la natura hanno ora simbolicamente abbattuto. Il muro fisico, però, resta. Si esce dalla metropolitana o si scende dal treno, si sale all’ombra di recenti funghi di cemento giunti tardivi ad allettare e allietare la zona e come sempre tristemente semivuoti, si cammina pochi attimi ed ecco il Muro. Ma le porte oggi sono aperte. Dentro ci si cura e si sta bene, in tutti i sensi, mentre un tempo, nel manicomio,  solo urla e stridor di denti.  Il muro di cinta impediva ai pazienti di uscire e ai “normali” di entrare e vedere. Contando sul silenzio di chi lo poteva oltrepassare perché ci lavorava o andava a trovare i parenti. Per carità di patria, per vergogna, chi passava stava zitto, o dimenticava presto.  

L'ingresso del Parco dell'ex Paolo Pini

Affori rimase lontana dal centro della città finché non ci arrivò, nel 2016, la metropolitana, cucitrice di storie. Era lontanissima un secolo fa, quando si decise  di costruirci il Manicomio. L’ospedale psichiatrico. Erano tempi di tardo positivismo. La Ragione e la Scienza con le maiuscole, il Progresso, proiettavano al di fuori di se stessi altrettante maiuscole: una di queste, la Follia.  Non le piccole follie che ciascuno di noi vive quotidianamente senza accorgersi: no, proprio la Pazzia, contrapposta alla Sanità mentale. Bene e Male, Ordine e Caos, Vero e Falso. Eccetera. Oltre il muro, finirono quelli che non capivano la differenza. Che sentivano tutto senza pelle. I matti, si diceva allora. Quelli che “davano scandalo”, scrivevano proprio così. I pericolosi, gli aggressivi. Marchiati a vita. Alcuni ribelli. Soprattutto di sesso femminile. Allora era… normale essere considerate anormali se si andava in confusione, se ci si ribellava alle botte e alle angherie del marito, se si aveva una sessualità “poco controllata”. Chi restava fuori chiudeva la porta e spegneva la luce. Lo racconta un’ospite del Paolo Pini divenuta illustre, Alda Merini. La poetessa, “pazza della porta accanto”, che ne uscì fisicamente dopo 10 anni ma non ne uscì mai nello spirito, anzi si portò il manicomio nel cuore e sulla punta delle dita. Facendone dono con le sue poesie. Non c’è una targa a suo nome, è ancora un mezzo tabù quello che successe qui dentro, come quello che successe nei manicomi in tutta Italia. Fino a che cominciarono a mostrarsi crepe nel dogma psichiatrico, Tobino non raccontò delle Libere donne di Magliano, Laing non parlò dell’Io diviso, Basaglia non cominciò la sua rivoluzione a Trieste contagiando tutta Italia. Oggi ci sono gli psicofarmaci al posto delle camicie di forza, l’intrattenimento di massa e lo scandalo programmato delle star al posto dell’elettrochoc (che però esiste ancora, oggi ribattezzato pietosamente terapia elettroconvulsivante). Chi soffre di paranoia, schizofrenia e affini ha modo di inventarsi una realtà parallela nella quale imbozzolarsi a casa propria, senza fare troppi danni al prossimo (alcuni però arrivano a essere Presidenti e potenti, è sempre successo, ma questa è un’altra storia).

Oltre il muro, l’incontro

Il muro oggi è poroso. Racchiude un Paese delle meraviglie in miniatura. O meglio, una Olinda, una di quelle “città invisibili” di Calvino: “Un’Olinda tutta nuova che nelle sue dimensioni ridotte conserva i tratti e il flusso di linfa della prima Olinda e di tutte le Olinde che sono spuntate una dall’altra, e dentro a questo cerchio più interno già spuntano – ma è difficile distinguerle – l’Olinda ventura e quelle che cresceranno in seguito.” Olinda è diventato il nome dell’associazione che traghettò i dannati fuori dal manicomio e i sani dentro, negli anni Novanta, dopo la legge Basaglia che chiuse i manicomi, in gran ritardo sulla legge stessa.

Negli anni Sessanta qui c’erano 1200 persone segregate, 400 ancora nel 1999. Oggi questo posto è una terapia collettiva per tutta la città. Aperte le porte allora invalicabili, ospita servizi sanitari del vicino ospedale Niguarda ma soprattutto un bellissimo parco segreto e alcune delle esperienze sociali e culturali più importanti di Milano, prese a modello in tutta Europa come esempio di integrazione fra i “matti” e i “normali”. Quando si aprì, arrivarono 20.000 persone a festeggiare. Un evento bellissimo e storico. Da allora il bar e ristorante Jodok e il parco sono un luogo di ritrovo e socialità fra i più originali e significativi per i milanesi e non solo. 

La “follia” del verde e della solidarietà

Oltre quel muro ci sono molte cose che per l’efficientista Milano sono “anormali”. Verde e aria pura. Grandi alberi, alcuni quasi secolari, animaletti selvatici, orti comunitari. Silenzio e contemplazione. Arte sui muri, non graffitara ma d’autore, e solidarietà. Un teatro, il Teatro Cucina, dove recitano i ragazzi delle scuole divertendosi un sacco con esperienze molto dinamiche, dove gridano e urlano e recitano e danzano, e li vedi strabiliati con le facce di tutti i colori a stare insieme con entusiasmo. Dove mai a Milano? C’è anche l’unico istituto superiore di Milano per l’agricoltura, il Pareto, misconosciuto quanto prezioso, capace di accogliere tanti ragazzi "strani" che vorrebbero lavorare con le piante, fare florovivaismo, giardinaggio e agriturismo. A Milano. Un ostello dove lavorano persone diversamente abili e alcuni ospiti delle comunità terapeutiche (quelli che vivono il disagio non si chiamano più matti, non li si punisce più bollandoli; ma chi soffre ha bisogno di una protezione e di aiuti).

 Il Mandala delle erbe al Giardino degli Aromi. Il Mandala è una rappresentazione artistica di origine indo-tibetana, propria della tradizione sia induista che buddhista. È un cerchio sacro nel quale sono raffigurate divinità e forze del cosmo. Viene realizzato in meditazione e per la meditazione; al termine della cerimonia viene distrutto a rappresentare l’impermanenza di tutto ciò che esiste. Tuttavia il Mandala è diventato anche un tipo di opera artistica "secolarizzata", ovvero permanente, che ispira a trovare il proprio centro nel mondo e il proprio ordine interiore. In questo caso è stato realizzato con la vegetazione, come a dire che il centro della nostra vita è la natura. Che noi siamo natura. 

Il “disagio della civiltà”, diceva Freud ai suoi tempi. Gli istinti repressi che sbalestrano chi non riesce facilmente ad adattarsi alle norme stabilite. Quel disagio è di molti. Molti di più di quello che si lascia intendere. Nell’inconscio di tutti, più o meno. Per tutti, ma soprattutto per le persone sensibili, è causa d'ansia vivere in un mondo meccanico, anonimo, astruso. Vengono in mente parole ormai desuete come ingiustizia, sfruttamento, emarginazione. Parole che sembrano sparite dal vocabolario ufficiale; qualcuno disse che il Diavolo ha successo quando si occulta, o qualcosa del genere. In termini psicanalitici, tutto questo viene "rimosso". Sprofonda al di là dei muri della mente. E dei muri che essa materializza.  

Fra questi viali di alberi ombrosi ai tempi della Merini potevano passeggiare solo quelli che facevano parte del personale, gli altri erano chiusi a chiave nei padiglioni. Quando le fu permesso di uscire nel giardino andò in estasi. Lo racconta nel libro “L’altra verità – Diario di una diversa”. Oggi si sa che il verde aiuta la guarigione, che esiste una deprivazione da ambiente naturale altamente dannosa per l’equilibrio psicofisico e per le relazioni sociali. Qui dove c’è un Hospice per i terminali, poco dopo la porta del Muro, hanno fatto un giardino terapeutico. Il lockdown lo viviamo già da tempo, rispetto alla natura. E fa male.

Una delle opere d'arte sui muri dei padiglioni

Esperimento di ecologia umana

Qualche segno della storia e delle anime del posto c’è, eccome. Volutamente. In questo straordinario esperimento di ecologia umana, ogni cosa ha una funzione. Sui muri degli ex-padiglioni compaiono figure che non hanno nulla a che fare coi graffiti pirata o quelli approvati socialmente nel resto della città. Sono singole opere d’arte, fatte da artisti spesso con l’aiuto di persone che vivevano o lavoravano qui. C’è un signore seduto su una sedia che mangia una lucciola perché spera, forse, di avere le idee più chiare. Un albero fatto di ceramica. Dei mandala luminosissimi che incorniciano le finestre dove si affacciavano i ricoverati: per riverberare la loro forza interiore, sono aure energetiche, spiegano alla visita guidata. Affacciandosi, i malcapitati s’empivano di luce e così apparivano agli altri. C’è una cappa di cucina sostenuta da teste statuarie. Un monaco Shaolin rovesciato, in equilibrio sulla testa. Ci sono piccole scene ermetiche, stile fumetto che preannunciano l’attuale voga delle graphic novel. Un grande “fiore fuori di zucca”, così fu intitolato dal coautore, il paziente che collaborò con l’artista, che scaturisce da un volto arcano. C’è una “Danza macabra” di ispirazione medievale ma attualissima, inquietante,  fatta in trance da un artista che poi avrebbe voluto che fosse cancellata, ma fu convinto a lasciarla: figure nere, furibonde ed estatiche, che vivono la loro passione primordiale per la vita e la morte. Come negli affreschi di molte chiese medievali, ricordano l’effimera realtà dell’esistenza. Questo ed altro sui muri esterni; nell’atrio dell’ingresso, che è parte del Servizio sanitario, e sulle scale, persone dipinte nella loro camicia di forza, potenti nello sguardo e nel gesto. Nello spazio all’aperto subito all’interno, grandi foto ritraggono in gruppo i protagonisti di quella piccola-grande rivoluzione che aprì le porte del luogo. Poi c’è il Museo d’Arte vero e proprio, con una collezione d’arte importante internazionale di opere di oltre 140 artisti, i le botteghe di arteterapia e i laboratori musicali ed espressivi. Gli interventi artistico-sociali sono stati realizzati con il contributo di artisti di calibro, tra cui Enrico Baj ed Emilio Tadini, insieme ai pazienti dell’ex ospedale psichiatrico e agli operatori sanitari. Il museo si visita sotto la guida di operatori, volontari e ospiti delle strutture, che raccontano ciascuno un pezzo della storia. Gli studenti dell’Accademia di Brera vengono qui a restaurare alcune opere murali.

 Opera d'arte all'ingresso di uno dei servizi sanitari

Installazioni naturali e vite ricucite

Al Giardino degli aromi, appena più in là, c’è il Mandala vegetale e ci sono installazioni naturali molto particolari, rilievi di terra e rami che sono allo stesso tempo arte e protezione per il suolo. Più avanti, gli orti e le serre, gli istituti professionali e deliziosi angoletti simil-agresti, una casetta-salotto sull’albero dove passare neghittosamente ore proficue all’insegna del motto “perdere tempo è guadagnarlo”.   

Il "salotto sull'albero"

Al Giardino degli aromi lavorano persone qualsiasi e persone in difficoltà, sotto la direzione di una schiera di donne intraprendenti. La teoria è che ciò che fa male alla mente è il “distanziamento sociale” dalla natura e dagli altri; che stare nel verde, riconnettersi ai ritmi lenti della natura  e coltivare rassereni e curi le ferite, riempia di senso la vita, faccia del bene anche sui piani sociale, culturale e spirituale. La pratica è la stessa. Campi di esperienza per grandi e bambini, laboratori e seminari sugli orti urbani e l’animazione, un laboratorio dove si essiccano le erbe raccolte, si confezionano e vendono prodotti officinali a chilometro zero-per-davvero! Stando bene attenti a non infastidire la fauna che si è formata attorno: volpi, ricci, civette, falchi, galline, conigli, cicale, lucciole.

 Gli uccelli del parco

 Il Giardino degli Aromi è anche promotore di importanti iniziative per l’ambiente. Qualche tempo fa si studiò il modo di realizzare un corridoio per i ricci, affinché potessero passare in sicurezza da qui al vicino Parco Nord e alle altre aree verdi, per continuare ad aiutarci eliminando come da par loro gli insetti nocivi. Il progetto è “riconnettiMi”, lo slogan è “perché un riccio passi per il Nord Milano”. Il riccio fu scelto come simbolo perché è piccolo, lento, minacciato dal traffico stradale: ha bisogno di muoversi su almeno due ettari di spazio. Per tutelarlo serve che le aree verdi non siano divise fra loro ma collegate e raggiungibili in sicurezza, che siano selvatiche ovvero non ordinate e spoglie ma ricche di siepi, arbusti e piante spontanee dove gli animaletti possano rifugiarsi. Proprio come noi umani. Ne abbiamo abbastanza di traffico, cemento e asfalto, abbiamo bisogno di frescura, silenzio e quiete, alberi e frasche, farfalle e animali.

Il riccio è anche un nostro alleato: è un insetticida naturale, tiene sotto controllo gli insetti e le loro larve di cui si nutre; mangia anche chiocciole e lumache, a volte topolini e rettili. Va in letargo e quando si rianima all'inizio della primavera è quanto mai a rischio, ancora un po' stordito e più lento del solito. Perciò bisogna andare lentamente in auto, nei pressi di prati e aree verdi, soprattutto di notte: si rischierebbe di schiacciarli. 

Colmare le falle ecologiche

RiconnettiMi è un progetto importante per collegare fisicamente fra loro i parchi della zona, densamente urbanizzata, grazie a corridoi ecologici, sentieri pedonali e piste ciclabili: il parco agricolo della Balossa, a Novate (oggi divenuto parte del Parco Nord); il grande Parco Nord stesso, uno dei più importanti della metropoli (ahimè intanto deprivato di molti alberi a Bruzzano per costruirci le vasche di esondazione per il Seveso: na parlerò in un altro articolo); il parco di Villa Litta sempre ad Affori; gli altri parchi della zona Bovisa-Quarto Oggiaro. E prima di tutto per collegare al parco dell’ex Paolo Pini l’altro parchetto semiselvatico che si trova proprio al suo fianco: era un pioppeto e lì vicino coltivavano il grano destinato anche a quella città-nella-città che era l’ospedale psichiatrico.

Anni fa, quando ancora esisteva, la Provincia di Milano non pensò di meglio che costruire proprio qui, con il solito specchietto delle allodole dell’housing sociale. In evidente crisi d’astinenza, volevano volumetrie su quei miseri 10 ettari scampati; fosse stato per loro, avrebbero fatto ombra anche alla serra del Pareto, impedendo agli ortaggi di maturare e agli alberi da frutto di vedere il sole. Del resto, in via precauzionale lasciavano la serra chiusa sotto chiave e priva di fondi, al punto che i professori la occuparono insieme ai ragazzi, per poter far toccare con mano la terra e le piante agli studenti. In fondo era un istituto professionale per l’agricoltura e senza serra non aveva molto senso. Poi si capì il perché di questa altrimenti inspiegabile negligenza: quando si vede qualcosa lasciata andare in malora c’è sempre puzza di bruciato. Allora, alla notizia di questo solito, possibile avanzamento della crosta di cemento, si mossero gli abitanti e i frequentatori della zona, si diedero il nome di “Seminatori di urbanità” e fecero il diavolo a quattro per sventare il colpo. Ricordo una manifestazione ruspante nell’ex pioppeto con un nido fatto di rami a simboleggiare il permanere della vita; e un incontro presso il Comune dove l’esimio assessore provinciale sosteneva con la sicumera tipica del metrocubista che la cosa si sarebbe fatta comunque ed escludeva qualsiasi ripensamento nonostante il parere opposto di tutti o quasi, scuole associazioni cittadini e così via. Allora si percorse il parco in lungo e in largo con bande e fotografie, filmati e feste per bambini. Nel frattempo la Provincia si inabissò nella Città metropolitana e non se ne seppe più nulla, con sospiro di sollievo. Ora è chiamato Parco POP (Oltre il Pioppeto). Ma non si sa mai, a Milano nel verde, sembra si debba sempre stare “come d’autunno sugli alberi le foglie”.  Furono raccolte 23000 firme, si lanciò appunto il progetto RiconnettiMi. Ora sembra più vicino l’obiettivo di salvare e gestire in modo naturalistico il parco POP, c’è un impegno del Comune in questo senso ribadito l’anno scorso. Speriamo. In fondo all’articolo riporto un testo che presentò il Progetto RiconnettiMi.

  

Manca la natura, è emergenza spirituale

Tornando all’ex Paolo Pini, dal cui humus hanno preso vita queste sanissime proposte. La natura è anche spirito, e viceversa. Racconta sempre la Merini che c’erano in manicomio anche persone che ci erano finite perché avevano visioni e apparizioni. Anch’esse erano un pericolo per l’ordine costituito? Già, siamo in tempi di "emergenza spirituale", spiegò lo psichiatra Stanislav Grof,  studioso non ortodosso degli stati di coscienza, fra i padri della psicologia umanistica e transpersonale (quella che studia anche i contenuti “sacri” della mente, i traumi dovuti alla mancanza di relazione con la propria parte spirituale; mentre la psicanalisi classica si occupa del subconscio, questo filone si occupa anche del superconscio). Tante persone stanno facendo queste esperienze in tutto il mondo, come fossimo tutti sull’orlo di rivelazioni imminenti sui tempi che viviamo. Quando si ha l’incoscienza o il coraggio, secondo i punti di vista, di raccontarlo, si viene bollati, oggi come un secolo fa. Gli psichiatri umanisti e gli psicologi transpersonali lo sanno, non si accontentano della psichiatria ufficiale che è un po’ come la medicina ufficiale, negazionista dello spirito e dell’energia naturale. Ma il materialismo ottuso considera ancora chiunque devii dalle coordinate consuete come “fuori dalla realtà”. Come se la realtà fosse solo quella misurabile (da chi e come, poi?). Da una parte c’è la materia, dall’altra la fantasia, dicono. Mah. Sarà vero? Viviamo in un grande sogno. Come tutti i sogni, è reale anch’esso, a livello individuale; e lo diventa anche a livello sociale se gli crediamo in tanti. Qualcuno sogna di fondersi con le macchine, e avviene davvero; altri sognano di fondersi con i fiori, come gli hippies e la pazza del Naviglio. Per farlo, questi ultimi dovevano finire all’ospedale psichiatrico; oggi, non si sa. Siamo sicuri che Milano non dovrebbe essere, almeno un poco, pazzerella in questo modo, se è questo essere pazzi? Siamo tutti un mandala artistico e sociale, una creazione bella e fragile, temporanea, delicata quanto irresistibile. Per fortuna c’è l’ex manicomio a ricordarcelo.

Parco dell’ex-Paolo Pini

Come ci si arriva

Con i mezzi: metropolitana MM3 Affori Nord; treni Trenord Affori Nord; autobus 40 via Litta Modignani

In auto o in bicicletta:  come sopra

Indirizzo: via Ippocrate 45

Apertura

Aperto al pubblico tutti i giorni dalle 8 alle 19.

A chi rivolgersi

Associazione Olinda 02 662 006 46 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il Giardino degli Aromi  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  –  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  tel 320.579.5295 o 02.66.203.319 (anche su Parco POP – oltre il pioppeto)

MAPP Museo d'Arte Paolo Pini c/o ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini
Padiglione 7, tel 02 6444 5392/5326, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Progetto RiconnettiMI: http://riconnettimi.blogspot.com

RiconnettiMI è il progetto che i Comuni di Cormano, Milano, Novate Milanese, il Parco Nord Milano e l’allora PLIS della Balossa, ora parte occidentale del Parco Nord Milano, insieme all’Associazione Il Giardino degli Aromi hanno inoltrato alla Fondazione Cariplo in risposta al bando per le connessioni ecologiche del 2014, ottenendo il cofinanziamento richiesto. Nasce dalle attività che gli abitanti dei quartieri e le associazioni hanno promosso prima dell’avvio del progetto. Nel 2013 sono state raccolte oltre 23.000 firme per la cancellazione delle previsioni urbanistiche sull’area dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, che comportano la distruzione degli orti comunitari gestiti dal Giardino degli Aromi, parte dell’area dell’Istituto Superiore V. F. Pareto e il Parco POP (il bosco della Bovisasca).

Questa area è di grande importanza naturalistica ed è un nodo fondamentale della connessione ecologica RiconnettiMI cerca di rispondere quindi a minacce di tipo ambientale, in particolare il consumo di suolo, e sociale in un contesto cittadino ad elevata densità di popolazione dove sono previste ulteriori intense urbanizzazioni. L’ambito di studio riguarda un territorio fortemente urbanizzato posto a nord di Milano, in cui le trasformazioni del suolo sono avvenute in modo disorganico, ma in cui sono presenti diverse aree (grandi e piccole) con rilevanti valori naturalistici e con una forte identità sociale.

Il progetto promuove e rafforza la comunità urbana che viene coinvolta direttamente nella sperimentazione di un’attività partecipata di studio della biodiversità, di progettazione e cura di spazi verdi funzionali alla rete ecologica. L’associazione onlus il Giardino degli Aromi, partner del progetto, promuove inoltre un sistema di economia locale sostenibile e di inclusione sociale di persone con rilevanti fragilità sociali, costruisce e rafforza la rete delle interconnessioni con i quartieri limitrofi sia dal punto di vista sociale che ambientale. Un percorso collettivo che costruisce una comunità reale da oltre vent’anni. RiconnettiMI è oggi uno studio di fattibilità che vuole mettere in evidenza le qualità ecologiche presenti, riconnetterle a Parco Nord e realizzare trame verdi verso la Bovisa. All’interno di questo territorio è presente un sistema di aree libere, sia strutturate come parchi, giardini pubblici e privati, sia potenziali come aree residuali, brownfield, verde condominiale. Lo studio di fattibilità ne ha esaminato i caratteri ecologici (suolo, flora e fauna), le potenzialità di connessione e gli interventi necessari per costituire la rete ecologica locale, che in un ambiente così urbanizzato può realizzarsi anche grazie alla rete sociale che la sostiene, per un beneficio comune per la natura e le persone. Si può affermare dunque che la rete sociale può, in alcuni casi ben localizzati, rammendare le falle della rete ecologica (effetto mending). Diventa quindi essenziale l’aspetto di coinvolgimento, comunicazione delle finalità del progetto e corretta istruzione (training) delle comunità coinvolte.