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La famosa invasione dei cervi a Milano

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

La famosa inavsione dei cervi a Milano

La storia del cervo Libero, che arrivò e visse al Parco Nord di Milano, tanti anni fa, e degli altri cervi che ogni tanto compaiono in città. Gli animali non parlano ma hanno molte cose da comunicarci, se impariamo ad ascoltare. E ci possono salvare, se  li salviamo. Ma abbiamo capito che cosa ci vuole dire il cervo?   

<<Caro cervo, non so se sei ancora vivo. So che vivi al massimo vent’anni, forse sei già nelle praterie del cielo. Due anni fa mi sei tornato in mente. Un tuo simile arrivò come te a Milano, intendo il luogo dove ti fermasti per due anni, ricordi? Dove poi ti catturarono per salvarti. Quell’altro cervo invece finì sotto un’automobile, uno di quei cosi metallici che corrono anche più veloce di te con grande rumore. Tu invece ti salvasti, ti portarono in boschi più vasti al Parco del Ticino. Scusa, hai ragione, questi nomi a te dicono poco… noi usiamo nomi, tu definisci i posti in altro modo. Cerco di essere più chiaro. Qui dove stavi nascosto c’erano grandi prati e quei rumorosi apparecchi volanti, non li avevi mai visti da così da vicino; là invece dove ti portarono c’era tanta acqua pulita, un fiume grande con tanti alberi, un fiume che cambiava sempre, le cui sponde ogni anno si spostano e l’acqua può defluire senza finire nelle case degli uomini. Non quel fiumicello stretto fra case e pietroni, tutto pieno di acque sporche scaricate ovunque, un fiumicello sempre uguale ormai, dalle sponde immobili dove camminasti con fatica fino a fermarti quando il torrente è scomparso sotto terra.>>

Forse direi questo, se potessi, al cervo Libero. Memore della fiaba di Buzzati, "La famosa invasione degli orsi in Sicilia". Ma queste storie di cervi in Lombardia non sono a buon fine, tranne quella di Libero. Che ebbe la fortuna di arrivare al Parco Nord, schivando la morte. Arrivò probabilmente dalle Prealpi, forse dalla Bergamasca. Poi dai boschi delle Groane, dove sono stati avvistati dei suoi simili. Giù giù attraversando stradoni e centri abitati, di notte, scese fino a Milano. Incredibile. Fra il 2004 e il 2006 visse al Parco Nord finché non lo catturarono e portarono al parco del Ticino. Là poté vagare nei boschi con meno rischi per sé e per gli umani. Si ipotizzò che Libero fosse arrivato nel parco passando lungo le infide sponde del Seveso, uno dei fiumi nascosti di Milano (l’altro è l’Olona). Unico passaggio praticabile fra gli stradoni e l’abitato. Il Seveso proprio qui sparisce sottoterra dopo aver attraversato l’universo urbanizzato della Brianza ricevendone tutti gli scarichi. Un altro cervo arrivò due anni fa, anch’esso probabilmente lungo quella direttrice. Ebbe meno fortuna e finì contro un’automobile lungo il vialone Fermi, che corre a fianco del parco e dell’Ospedale di Niguarda. Nello stesso anno un giovane cervo finì nel cortile di un'abitazione dalle parti del cimitero di Musocco, e lo scorso febbraio un altro cervo è stato salvato dal Naviglio della Martesana dove era precipitato, a Cernusco sul Naviglio; portato al centro di recupero per animali selvatici dell'oasi di Vanzago, però, è morto subito per lo stress e le ferite. Un altro ancora, in marzo, è finito sotto un auto lungo la Milano-Meda.

Tanti cervi sono in provincia di Varese, arrivati ormai decenni fa dalla Svizzera nelle verdi valli attorno al monte Campo dei Fiori, e si avvicinano all'abitato. Perfino a Gallarate un cervo si inoltrò fra le case. Che cosa significa? Che i cervi stanno aumentando, anche perché i predatori naturali (solo orso e lupo) scarseggiano, ed essi cercano spazi dove diffondersi lasciando il gruppo originario. Ma se sbagliano indirizzo e s'imbucano nelle aree antropizzate finiscono di solito male. Guardando il video della cattura del cervo alla Martesana, poi, sembra di assistere alla scena finale dei Blues Bothers: auto della polizia locale, veterinari, volontari, curiosi tutti attorno al povero cervo che cercava soltanto di sopravvivere. 

La cattura del cervo al Parco Nord, 2006 (dal video indicato in fondo)

TLa storia di Libero, insomma, è destinata quasi sicuramente a restare unica: un cervo che trova un bosco dove vivere a lungo in città. Perché nel frattempo si è chiuso il varco da cui quasi sicuramente passò. Il bosco di Bruzzano dall’estate del 2020 non c’è più. Era lì da trent’anni, quel bosco, realizzato dal Parco Nord. È il parco regionale nato nei primi anni Ottanta che si estende su quasi 800 ettari su più comuni: Milano, Bresso, Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Cormano, Cusano Milanino, e da qualche anno anche Novate Milanese con il parco agricolo della Balossa, aggregato al Parco Nord. Quel bosco era un fiore all’occhiello del più vasto parco della metropoli milanese. Ora dicono che sarà "compensato" altrove, sempre nelle aree del parco. Ma per compensare alberi di trent'anni ci vogliono trent'anni, se va bene. Queste "compensazioni" lasciano il tempo che trovano.   

Peccato. Perché il Parco Nord è bellissimo e ricco di spazi naturali veri oltre che di aree a parco urbano classico (vialetti, prati e filari ordinati). Tutti a Milano lo conoscono e frequentano, ma per chi viene dalla parte Sud di Milano, andarci è stato per anni come fare turismo in un’altra città. Adesso è più facile arrivarci perché la metropolitana arriva a due passi e il traffico è ridotto per via del lockdown.

Seveso, il “fiume nero”

Vicino a quel bosco era stato appena realizzato un padiglione scientifico-divulgativo dedicato all’Ossigeno (ironia della sorte) accanto a un nuovo laghetto. Carino. Ma l’ossigeno ora resta sulla carta, a Bruzzano. Il bosco ha lasciato il posto alle “vasche di laminazione” che dovrebbero servire a ovviare alle piene del Seveso, poverello, che  periodicamente allagano il quartiere di Niguarda e dintorni. Dovrebbe: i dubbi sono moltissimi, proposte alternative ragionevoli non sono state prese in considerazione dal Comune e dalla città metropolitana fantasma che dovrebbe affiancarlo: ripulire l’alveo, fermare gli scarichi abusivi, eliminare le mille ostruzioni e rinaturalizzare le sponde… tutte cose che avrebbero richiesto  maggiore impegno, competenza e attenzione; cose che si sarebbe dovuto fare da decenni. Le illegalità sono state migliaia e più, in tutta la Brianza. Case troppo vicine al fiume, cemento e discariche tossiche ovunque. Molti di questi problemi “a monte”, come si diceva una volta, sembrano proprio irrisolvibili: pare che le vasche risolveranno ben poco; altre se ne dovrebbero fare in altri comuni più a Nord. Per certo, purtroppo, condannano invece gli abitanti del luogo a convivere con acque inquinate sotto casa, con pericoli anche per la falda acquifera. Invece di andare alle cause si è fatto lo show di sbancare un bosco pieno di vita, di alberi e di uccelli in pieno agosto. 

 Bresso: lì c'era un grande bosco, ora gli scavi per le vasche del Seveso

Quella del Seveso è una triste storia, paradigma di come il territorio e la natura sono stati e sono gestiti. È un fiume a carattere torrentizio. Ovvero piccolo, e a tratti si riempie d’acqua. Da sempre. Fino ai primi anni Cinquanta aveva acque pulite e ci lavavano i panni. Poi sono esplose le costruzioni umane: case, fabbrichette e quant’altro. Ci si è costruito a due passi, quasi sopra; in diversi luoghi il Seveso ha come argine i muri stessi delle case. È “tombinato” (così si dice in termini tecnici) per chilometri e chilometri. Ridotto a uno scolo, ci si versa di tutto; quasi tutti sono scarichi fai-da-te, illegali, incontrollati. Il povero Seveso è, peggio ancora del Lambro, proprio nel cuore della colossale conurbazione che dalla Brianza corre fino giù a Milano. Nasce vicino a Como e scende verso Sud-Est inabissandosi in questa bolgia. Hai voglia a cercare di rimediare, è un disastro ambientale cui ci siamo assuefatti. E che l’incompetenza ambientale degli amministratori porta alle estreme conseguenze. Per chi volesse affrontare questo tema arduo, sul Seveso segnalo in fondo un articolo del presidente storico dell’associazione amici del Parco Nord. Ci vuole coraggio a leggerlo. Fatelo almeno per pietà verso il povero fiume: è accomunato al paese omonimo dal marchio sinistro di inquinamento e allarme ambientale. La diossina dell’ICMESA, nel 1976, aprì le danze della questione ambientale in Italia. E i suoi rimasugli sono  ancora sepolti da qualche parte, attorno al povero fiume. È notizia di questi giorni che adesso il Seveso verrà controllato con i droni, per individuare gli scarichi abusivi che spesso sono inaccessibili. Era ora. Ma basterà? Leggi qui>>  

Torniamo al cervo. Riusciamo a immaginarci che cosa può aver voluto dire per un grande e fiero animale del genere, attraversare la Brianza? Che cosa può averlo spinto? Quali vicissitudini può aver passato, quale stato di stordimento o di incoscienza può averlo forzato a quel percorso (volendo attribuirgli impropriamente questi stati d’animo in mancanza di parole più adatte: la coscienza animale è diversa dalla nostra, ma esiste). Che cosa può avere provato, restando solo, magari scappando dai fari di notte, spaventato da qualcosa, perdendosi come Dante nella selva, schivando fiere sotto forma di macchine ruggenti sugli stradoni? Infilandosi in un inferno urbano a lui ignoto, lasciando ogni speranza senza alcun Virgilio a guidarlo e rassicurarlo, fino a sbucare a riveder le stelle in un ormai insperato angolo di verde e boschi a due passi dalle case e dall’aeroporto? E fermarsi lì senza fiato dopo giorni di vagabondaggio clandestino fra i rumori assordanti delle strade, fra gli odori umani e gli stridori meccanici, con il fiato sempre più corto e la vista appannata, con gli zoccoli e le zampe affaticate a destreggiarsi fra i pietroni e i rifiuti di cui è disseminato il bordo del fiume, bevendo l’acqua fetida vicino agli scarichi inquinati che costellano tutto il corso del fiume, strisciando lungo i muri che rendono il Seveso una sorta di rigagnolo a lato abitazioni? Altro che Bambi, quello era un cartone animato, questa storia è vera. Però sembra un racconto dantesco: l’inferno del Seveso, il purgatorio del Parco Nord, il paradiso del Ticino.

Un simbolo di nobiltà

Me lo immaginai quando il fatto avvenne e se ne parlò ovunque. Quel cervo sembrò allora un segno importante. Strano, quasi miracoloso. Ogni cosa che avviene in natura è anche simbolica, come insegnano sia le antiche tradizioni sia la moderna ecologia. La comparsa del cervo sembrava dire: la natura selvaggia è arrivata chissà come fino a Milano. La metropoli respirava. Aveva lasciato spazi dove perfino un cervo in fuga pazza poteva vivere. Non i soliti caprioli, più minuti e agili, che vagano nascondendosi più facilmente, ungulati parenti minori, dalla stazza più contenuta: no, proprio il regale cervo. Che nella storia ha simboleggiato fierezza, possanza, collegamento con il cielo (le corna assomigliano ai rami, con i quali l'albero attinge alla luce) e con lo spirito degli antenati, eternità e rinnovamento per via dei palchi (le corna) che cadono e ritornano ogni anno, forza vitale istintiva e indomita… al punto da essere stato per secoli la vittima privilegiata dai reali e dai signorotti che ne fecero loro proprietà esclusiva, vietando ai poveracci di mangiarlo, facendone strage invece loro per sport e per metterlo imbalsamato e ridotto a collo e testa, sulle pareti delle loro ricche magioni. Ciò per vantare la loro forza, l’appartenenza alla stirpe guerriera, come guerriero diventa il cervo quando è la stagione degli amori che condanna i maschi alla lotta per la supremazia e per l’accoppiamento-premio: allora il cervo fa quasi paura con i suoi bramiti clamorosi e selvaggi. 

Quello arrivato al Parco Nord fu chiamato istintivamente Libero dalle guardie ecologiche volontarie che se ne presero cura. Splendide persone che si dedicano a proteggere e tutelare i parchi dai sempre più numerosi visitatori umani. I quali non sempre si comportano bene.

Il cervo se ne stava nascosto. Era difficile da incontrare e vedere. Probabilmente si aggirava fra le frasche vicino all’aeroporto di Bresso, in quell’area del parco dove sono più numerose e vaste le zone naturalizzate: si può camminare per ore nei sentieri fra gli alberi fitti e le radure, perfino un cervo si può nascondere fra i cespugli e mimetizzare fra i tronchi caduti. È uno dei pochi posti a Milano e dintorni dove sembra di essere nei parchi di Londra, quelli periferici, o di Monaco di Baviera. Ma il panorama è migliore: dalla collinetta del parco, realizzata sopra una ex discarica della Breda e dedicata agli operai deportati dai nazifascisti, a due passi dalla città, si vedono sia la metropoli coi grattacieli sia le montagne.

Uno dei laghetti del parco

Questo è uno dei pochi parchi della metropoli milanese dove si seguono (ancora) criteri naturalistici di gestione: gli alberi morti vengono lasciati in terra a nutrire il terreno, quindi la vegetazione stessa rendendo il suolo fertile, gli animali e gli insetti – in una parola oggi in voga, la “biodiversità”. Si mettono nidi artificiali, si limita l’accesso dei cani a solo alcune aree. Si favorisce la vera vita naturale, non la sua rappresentazione giardinesca. Mentre nel resto dei parchi ci si affanna a “ripulire” dove ci sono rami e tronchi morti per terra, rovi e altre piante “disordinate”. E ci si ingegna anche a tagliare alberi vetusti per poi “compensarli” con alberelli per il gusto di gestire e mettere soldi in saccoccia. No, in natura non esistono rifiuti, esistono solo scarti temporanei che poi sono riciclati; e anche gli alberi vecchi e malati svolgono una funzione, anzi molte più funzioni utili rispetto a quelle delle piante giovani. Sono casa per gli animali e nutrono il terreno con le foglie e i rami caduti. Fanno ombra, trattengono il terreno con le grandi radici. Gli alberi vecchi non sono rimpiazzabili, non vanno tagliati. A meno che non abbiano una malattia che si trasmette ad altre piante. Semplice da capire? Non si direbbe, per i megadirigenti galattici delle nostre istituzioni e aziende. Ma anche per i comuni cittadini, visto che la cultura naturalistica in Italia è da sempre una Cenerentola. Eppure siamo il paese al mondo con la massima biodiversità, con il paesaggio più bello e vario. Come per l’arte, ciò che abbiamo di meraviglioso non lo consideriamo proprio. Lo diamo per scontato. E lo perdiamo.

Ecco, il cervo era un segno di questa bellezza indomita della natura. Messa male in Italia ma ancora viva. Con il cervo ha detto: <<Sono ancora qui. Salvatemi.>> Ho avuto solo una volta la fortuna di vederne alcuni da vicino, a tiro di binocolo, al Parco dello Stelvio. Il suo incedere, il suo guardarsi attorno con quell’aria insieme altera e dolce, sono commoventi quanto impressionanti. Emozionano e intimoriscono al tempo stesso. Il cervo è forza ed eleganza al tempo stesso, un essere vivente meraviglioso e prezioso. Pericoloso solo quando lo aggrediamo; dannoso solo quando non ha i predatori a tenerne sotto controllo il numero: allora la sua presenza diventa eccessiva, mangia di tutto, comprese le cortecce degli alberi, danneggiando la foresta. Ma non è colpa sua, appunto; in natura i predatori eliminano gli esemplari più deboli e malati e rinforzano così la specie nell’insieme. È quell’equilibrio naturale che a noi può apparire feroce, ma che non ha nulla da spartire con la vera ferocia, che è solo umana. Quella è naturale, appunto. Non si tratta della legge del più forte, ma del più adatto e adattabile; e il lupo, la lince  o l’orso non sono cattivi, ma devono solo mangiare e tenere in ordine l’ambiente. Cosa che noi non abbiamo certo da insegnargli, anzi.

Il fiuto di Libero l’aveva inevitabilmente portato qui. È naturale seguire l’acqua e il verde, per loro. È vero, il parco è superfrequentato da migliaia e migliaia di persone ogni giorno. Ma è più sicuro, forse, per un cervo, di tutta la pianura intasata soprastante Milano. O meglio lo era. il cervo ci aveva detto: <<La natura c’è ancora. Datele più spazio. Così vi salverete.>> Purtroppo dobbiamo rispondere: <<Cari cervi, cercatevi altre strade. Qui non c’è più un posto per voi. Speriamo che ve la caviate meglio sul Ticino. Per ora non vi meritiamo. Ci avete fatto sognare per un poco, sognare è importante, senza il sogno ci si ammala. È stato un sogno breve, abbiamo da ripulirci da molte malefatte prima di poter godere della vostra nobiltà d’animo e della vostra semplicità. Magari un giorno tornerete, vorrà dire che saremo riusciti a risanarci e a sentire di nuovo i sani istinti, quelli che dicono di rispettare e amare il luogo in cui viviamo, e di fidarci di terra, acqua, alberi e aria più che delle nostre folli pretese e illusioni. Avete provato a dircelo, ma non siamo riusciti a capire.>>

 Uno dei boschi di fronte al Centro Parco

Il Parco Nord: un grande polmone verde per la metropoli

Il parco venne creato a partire dai primi anni Ottanta, in un’area fra le più congestionate del mondo e più industrializzate: basti dire il nome Breda. La gente del luogo decise di salvare le aree dall’urbanizzazione ulteriore, di recuperare le fabbriche abbandonate e tutelare la memoria storica. La politica ufficiale di allora non si oppose più di tanto. I cittadini spinsero e la Regione approvò il parco regionale (i primi nella nostra regione vennero istituiti in quel 1983, dopo anni di campagne da parte delle associazioni ambientaliste e della società civile). Si piantarono alberi e piano piano il parco si formò. In molte parti si decise di lasciare spazi semiselvatici, come nel Boscoincittà creato appena pochi anni prima (ne parlo qui>>  https://bit.ly/2PGJU1I) e come indicato dagli studi più avanzati di urbanistica. Anche i nuovi spazi del parco, realizzati in seguito, rispecchiano questo imprinting: armonia fra parco urbano e parco selvatico, equilibrio fra città e natura. Come le due sponde del laghetto di Niguarda: una è “urbana” con il fraticello, l’altra lasciata alle frasche e alle canne e agli uccelli acquatici. Anche i cani ormai onnipresenti possono correre liberi, ma solo in alcune zone. Si può andare in bicicletta e in monopattino ma le stradine sono abbastanza ampie da non creare rischi di scontri. Anche ciclisti e camminatori slow, naturalisti e birdwatcher hanno d’esistenza grazie ai sentieri che s’inoltrano nei boschetti. Gli animali del parco? Volpi, ghiri e lepri, scoiattoli, gufi e civette, cormorani, Germano Reale, Martin Pescatore, gallinella d’acqua e tarabusini vicino all’acqua, tanti passeracei e rondini, nonché (attualmente) un cigno solitario - strano, di solito stanno in coppia - ormai adottato dai visitatori nel laghetto di Niguarda. I rapaci diurni sono molti; ci sono anche i serpenti, le specie sono quelle il biacco e il colubro. I topi non possono quindi esagerare nel riprodursi! Nei laghetti ci sono altri personaggi abbastanza rari come il rospo smeraldino e il tritone punteggiato, insieme alle molte rane.  

Nel parco c’è e si fa di tutto: dai laghetti agli orti comunitari, dalla villa di Manzoni a Brusuglio  all’educazione ambientale fino ai “Festival della Biodiversità” da quando questo termine non era ancora di moda. Il Parco Nord è gestito da un ente che fa riferimento alla Regione e ai Comuni, con dipendenti, operatori e guardie ecologiche volontarie che lo seguono. È un polmone fondamentale per tutta la zona e per tutta la metropoli. Dove scoprire che esiste anche qualcosa che non è stato costruito da noi, che le piante e gli animali non sono solo sugli schermi delle tv o degli smartphone. Però l’anno scorso la triste vicenda del bosco di Bruzzano l’ha squarciato per la prima volta. Ci si augura che da qui rinasca un desiderio collettivo di comprendere a fondo la meraviglia che ci dona la vita, e di proteggerla meglio.  

Per informazioni

Parco Nord

Il sito dell’Ente Parco con la storia, le mappe e le iniziative ufficiali, educative e di divulgazione 

La mappa 

Sulla storia del parco vedi anche la pagina Facebook dell’Associazione Amici Parco Nord (con le iniziative storiche e attuali per proteggerlo) 

Sul Bosco di Bruzzano la pagina Facebook BressoEcoAttiva

Un video sulla storia del cervo Libero: www.youtube.com/watch?v=D003Mm0AvB8&t=541s

Video La cattura del cervo alla Martesana>>qui

Sul Seveso

“Come il cemento ha reso il fiume Seveso un pericolo”, articolo di Rosy Battaglia su Lifegate, 15 dicembre 2020

“I sette veli del fiume Seveso. uno scandalo”, articolo di Arturo Calaminici, presidente onorario dell’associazione amici del Parco Nord, su ArcipelagoMilano, 28 gennaio 2019