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L'oasi del Carengione a Peschiera Borromeo

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

La Poiana ("aquila di pianura"), il gheppio, la volpe, gli aironi e altri abitanti dell’Oasi del Carengione, a Peschiera Borromeo

Un bosco prezioso e all’apparenza primordiale, che però è rinato solo negli anni Sessanta dopo l’abbandono di lavori di scavo per estrazione di materiali per l’edilizia. Il Carengione è una delle oasi più interessanti dell’Est milanese, in una campagna ricca d’acqua e coltivata intensamente. La storia e le vicende recenti dell’oasi e dei suoi ospiti: volpi, ricci, tassi, civette, gheppi, fiori, stagni e alberi a due passi dall’Idroscalo, in direzione dell’Adda.

Peschiera Borromeo, a Sud-Est di Milano, è una di quelle cittadine dell’area metropolitana di Milano che sta a fianco della città capoluogo con un piede nella campagna. A due passi dall’aeroporto di Linate e dall’Idroscalo lungo la strada Paullese, ai milanesi è nota soprattutto per essere stato un paese agricolo “nobilitato” dall’arrivo dalla Toscana dei conti Borromeo, stirpe cui appartenne anche il celebre arcivescovo San Carlo. Proprio qui, in queste campagne generose, all’inizio del 1400 i futuri potenti costruirono il loro primo palazzo fortificato, ricavandolo dalla trasformazione di una cascina. Ancora oggi il castello è una piccola delizia: il fossato tuttora pieno d’acqua e il grande parco privato, la torre e le vecchie mura ne fanno una macchina del tempo per  rivivere il tempo del rinascimento. Ci si arriva dal piccolo borgo di Mirazzano lungo una strada affiancata da pioppi neri. Il primo palazzo di questi conti divenuti successori degli Sforza, almeno nella notorietà, che hanno  tuttora molti palazzi e possedimenti fra cui i più conosciuti sono quello di Milano (vicino alle Cinque Vie) e quelli delle isole Borromee sul Lago Maggiore.

Peccato sia molto difficile visitare il castello, tuttora abitato, e non si possano visitare né il magnifico parco del castello né la nuova area umida di boschi e stagni creata per volontà di uno dei conti attorno al vicino mulino, restaurato ad uso abitazione: sono proprietà privata. Sarebbero paradisi per naturalisti. Chissà, forse è bene così, perché non sempre la “fruizione” coincide con la tutela. Ce ne dobbiamo fare una ragione, in futuro esisteranno ancora gli alberoni secolari del parco: quelli attorno, nella campagna aperta a tutti, come vedremo, rischiano maggiormente di non diventare alti e imponenti come gli alberi genealogici dell’iconografia nobiliare, perché sono sempre sotto il tiro di qualche motosega umana.

Attorno, verso Milano c’è la cittadina di Peschiera e in direzione opposta verso l’Adda ci sono soprattutto le campagne, che tuttavia lungo la Paullese sono vittima del virus dei capannoni, centri commerciali e insediamenti che funghiscono ovunque lungo le strade principali che dalla città menano verso il mondo esterno. Per questa epidemia un vaccino ci sarebbe, quello della natura, ma non c’è ancora una mobilitazione sufficiente di energie.

Questa zona un tempo era ricca di boschi. Ne restano pochissimi, ovviamente: l’agricoltura e poi le costruzioni hanno invaso quasi tutto. Un boschetto prezioso è quello del Carengione, nelle frazioni di Peschiera Borromeo di Bettola, San Bovio e Mezzate. Un’oasi da vedere e conoscere: si ha un’idea di quello che era il territorio attorno a Milano, ricco d’acque sorgive e di vegetazione. Poi con l’agricoltura moderna le coltivazioni si estesero quasi ovunque, a scapito della vita selvatica.

L’airone vero e quello su carta

Un esempio su tutti? Negli anni ‘70 del secolo scorso gli aironi erano diventati rari. Oggi li vediamo spesso dove ci sono zone umide, risaie ma anche campi affiancati da rogge e canali, ma un tempo erano quasi spariti, nel deserto agricolo portato dai pesticidi e dall’agricoltura meccanizzata. Ed erano per di più cacciati e perseguitati perché facevano concorrenza ai pescatori. Non aiutava certo gli aironi l’agricoltura che impiegava pesticidi e diserbanti e spazzava via ogni angolo verde non “utile”, comprese le preziosissime siepi, i cespugli e quant’altro fosse considerato inutile ai fini della produzione di massa e ostacolo alla circolazione dei megatrattori e megamietitrebbie. Siepi, boschetti e sottobosco d’altra parte garantivano la vita di centinaia di specie animali e vegetali selvatiche che hanno il torto di aiutarci contro insetti, topi ed eccessi di temperatura, nonché quello di fornirci ossigeno respirabile e nutrimento per l’anima. Prime vittime, comunque, erano – e purtroppo sono tuttora – i grandi alberi dove gli aironi fanno le loro “garzaie”, i grandi nidi fatti con rami (il termine viene dal nome dialettale dell’airone, “garza”) a distanza di sicurezza dal suolo per proteggere le nidiate. Oggi gli aironi sono ritornati e sono comuni perfino nei parchi di città, perché la caccia è diminuita come in parte l’abuso di sostanza chimiche nei campi, in particolare nelle risaie dove gli aironi imperano e cacciano anche pesci e rane.  

Ebbene, proprio in quel finire degli anni Settanta esplodeva l’interesse verso la natura che stava scomparendo. Fra le tante iniziative di quel periodo, oltre alle campagne antiinquinamento, anticaccia e antinucleare in tutta Italia, una novità significativa fu la nascita e la grande diffusione di una rivista naturalistica illustrata divulgativa. Dedicata proprio all’uccello simbolo della natura in pericolo, comune ma quasi sconfitta, la rivista Airone fu fondata nel 1981 da un amante della “caccia fotografica”, Egidio Gavazzi. Costui abitava a San Felice, a due passi  da Peschiera Borromeo, e si aggirava a piedi e in bicicletta per i campi a caccia di immagini naturali, quando non faceva safari fotografici di ben altro calibro. Qui si imbatté nell’unico angoletto selvatico della zona e ne propugnò la protezione. Era il bosco del Carengione.

Dalla cava alla wilderness

Il nome deriva da una pianta palustre, il carice, noto anche come falasco. È un colonizzatore, ovvero s’insedia per primo lungo le rive degli stagni e fa da apripista per la vegetazione, poi viene soppiantato da piante meno “acquatiche” come sedano d’acqua e crescione fino a ridursi e quasi sparire con l’arrivo di rovi, salici e ontani, pioppi e olmi. Questo luogo è uno dei pochi dove si può ancora trovare l’intrepido vegetale, lontano dai fiumi e dalle lanche ovvero i rami “morti” del fiume che diventano poi stagnanti. Anche le lanche ormai sono rare, lungo i nostri fiumi quasi tutti incravattati d’asfalto e cemento, ma qualcuna resta sull’Adda e soprattutto sul Ticino. 

Il bosco dedicato alla carice era cresciuto spontaneamente su un terreno isolato dall’abitato e dalle strade, poco produttivo perché argilloso e sabbioso, “acido” al punto da essere snobbato dai contadini locali. Negli anni Cinquanta venne dunque saggiato dai cavatori per farci appunto scavi. Nella zona le cave sono almeno sette, ma abbondano dovunque nell’hinterland milanese, vittime sacrificali dello sviluppo urbano: scavare e distruggere per costruire, fare e disfare è tutto un lavorare si dice da queste parti. Ma qui a Peschiera, non si sa bene perché, i lavori vennero interrotti, non prima comunque di aver sbancato, sopraelevato e bucherellato il terreno, deviando o interrando canali e canaletti, compresi alcuni fontanili (sui fontanili leggi anche l’articolo sulla Muzzetta, qui>>).

Al termine inglorioso dei lavori delle ruspe restò una landa abbandonata, piena di crateri, avvallamenti e abbozzi di percorsi per mezzi pesanti, che si riempirono d’acqua formando stagni: qui il livello della falda è appena tre metri sotto la superficie del terreno, ci sono ancora fontanili e molte rogge arrivano dal naviglio della Martesana a irrigare tutta l’area. L’acqua non mancava come non manca ora, ed è vita. Acqua più pulita rispetto a quella del resto della metropoli, perché arriva dall’Adda e non dalla Brianza operosa delle mille fabbrichette né da Milano ma evita le conurbazioni nel suo percorso prima di affluire qui.

La ferita nel terreno si ripopolò dunque presto di piante e animali grazie all’acqua, la natura lasciata in azione si riprende presto. Ricomparvero alberi altrove quasi spariti per via della dittatura dei pioppi e dei coltivi: querce e aceri, ontani, salici, noccioli e olmi, ciliegi selvatici e carpini… insomma il bosco di una volta era rinato, chissà come. E cominciarono ad affluire i superstiti aironi, anatre, ricci, tassi e volpi, rapaci notturni, lepri e fagiani scampati alla caccia circostante; e nei fossi e negli stagni che si erano formati, rane, tritoni e pesci messi lì da pescatori di semifrodo (il terreno era di proprietà privata anche se aperto). Alcuni naturalisti cominciarono a esplorarlo, e Gavazzi fece articoli e proposte per tutelare il neo-rinato bosco. Ben presto trovò sostenitori: la Forestale fece sopralluoghi e relazioni come il WWF Sud Milanese e lo stesso Comune (ai tempi esistevano assessorati all’Ecologia) dal 1984 lo tutelò come oasi seppure non cintata dichiarandola inedificabile. In seguito il Parco Agricolo Sud Milano prese proprietà di una piccola parte e nel 2000, addirittura, venne occupata l’area centrale per “pubblica utilità” e furono tutelati anche i terreni agricoli circostanti, piantati alberi e arbusti. 

Uno degli stagni del Carengione

Storia a lieto fine, una delle poche in tutta la metropoli, tutto bene allora? Solo in parte: oggi l’oasi, bellissima quanto relativamente piccola, è da una parte sottoposta alla pressione dei molti abitanti della zona che la visitano, dall’altra è in balia delle strane manie disboscatorie degli enti che invece dovrebbero proteggere il verde e le oasi, in primis il Parco Agricolo Sud. Lavori “di  riqualificazione” negli ultimi mesi infatti hanno visto tagliare alberi e alberoni anche sani dell’oasi, alla faccia della tutela della biodiversità. Apparentemente e dichiaratamente per proteggere i visitatori da improvvidi crolli di grandi pioppi che avevano l’unico torto di essere lì dove erano nati e cresciuti, e di ripulire i percorsi pedonali. Non siamo in bei tempi, insomma, per quanto riguarda il rispetto della vita naturale, anche se a parole tutti ne tessono gli elogi. Anche togliere i rovi perché ostruivano i sentieri non è una bella idea: sono disordinati e fastidiosi ai nostri occhi cittadini ma per gli animaletti sono rifugio, frigorifero, camera da letto e tetto.

Per inciso, sempre a Peschiera Borromeo nel 2020 c’è stata una battaglia delle “signore degli alberi” per impedire il taglio di decine e decine di pioppi cipressini lungo una strada vicina all’oasi. Ancora non si è certi che il Comune abbia rinunciato all’insano progetto messo in campo, al solito, per “la sicurezza”, ma senza fondamento scientifico. È un viale meraviglioso per via di quegli alberi che fanno ombra e donano bellezza; sono i pioppi allungati verso l’alto tipici della Lombardia al punto da essere definiti, all’estero, “pioppi lombardi”. Presenza costante, un tempo, lungo i vialetti di campagna: i contadini non amano troppo l’ombra dei pioppi lungo le rogge e le stradine ai bordi del campo, quindi preferivano i cipressini slanciati meno fastidiosi per il proprio campo. Per ora i pioppi cipressini resistono. 

Il viale dei pioppi cipressini vicino all'oasi: grazie alle "signore degli alberi" sono ancora in piedi, il Comune li avrebbe fatti abbattere tutti per motivi "di sicurezza" 

Abitanti alati e non

Visito l’oasi questa volta con il “custode”, il naturalista che da molti anni la studia e conosce a menadito e che vi abita vicino, animatore a suo tempo dell’associazione che la promosse dagli anni Duemila. Walter Ferrari spiega che l’intera oasi è di circa 140 ettari, ma di questi solo 13 sono “selvaggi” (10 di proprietà del Parco Sud Milano e tre di proprietà del Comune). E snocciola altri numeri: 280 specie le vegetali recensite, decine quelle di animali vertebrati, numerosissime le specie di insetti e invertebrati. Ma soprattutto racconta storie di funghi, piante e animali: picchi rossi e verdi, donnole, amanite e fusaggine… una piccola jungla che visita quasi ogni giorno. Deve essere stato riconosciuto come amico dagli animali perché perfino un gheppio, il piccolo falchetto tipico delle campagne, l’ha scelto per fare il nido da cinque anni sul suo balcone, a un tiro di schioppo da qui. Anche i ghiri che si nascondono nell’oasi devono portargli riconoscenza, perché ne prese alcuni appena nati con i genitori spaventati, salvandoli da un tronco dove avevano la tana che era stato tagliato in paese, e li portò qua. Ora stanno da qualche parte nell’oasi, c’è da scommetterci in buchi nei tronchi. Racconta delle lucciole che compaiono in giugno e che viene a vedere con gli altri amanti della natura, dei gufi, barbagianni e civette che animano le notti, delle varietà di farfalle che svolazzano fra ortiche e sambuchi, delle fototrappole che ha piazzato e che hanno immortalato le volpi con le loro tane e i tassi. Sia di volpi che di tassi ci sono almeno due famiglie.

una nidiata di volpi al Carengione dal video di Walter Ferrari 

 Il ghiro - foto di Walter Ferrari

Il campione fra gli uccelli predatori qui è la poiana, il rapace così grande da essere definito “l’aquila di pianura”. Bruno di colore, lo si sente “miagolare” in volo, ovvero fare una specie di pigolio stridulo, quando volteggia nel periodo riproduttivo. Solitario nella caccia,  prende quota sfruttando le correnti ascensionali e poi fa grandi e veloci picchiate. Si intravede il suo nido sulla sommità degli alberi più alti; la poiana infatti in pianura nidifica su alberi isolati più che su rocce o sul terreno, e va a caccia negli spazi aperti dei prati e dei campi, quindi si adatta anche al territorio agricolo dove la maggior parte degli alberi è sparita. Qui al Carengione però ha trovato la manna dal cielo di un bosco fitto dove riprodursi. Ce ne sono almeno tre nidiate. Anche se la poiana è abbastanza diffusa, è raro trovarla così concentrata in un unico luogo.

 Poiana in volo - foto di Walter Ferrari

Poiana nel nido - foto di Walter Ferrari

 La nidiata del gheppio su un balcone a due passi dall'oasi - foto di Walter Ferrari

L’oasi è a rischio?

Intristisce vedere lungo i sentieri i monconi di tronchi accatastati dei grandi pioppi abbattuti, alcuni senza valido motivo. Un grande pioppo è stato salvato solo perché nel suo cavo aveva una madonnina “del viandante” e altre testimonianze di affetto e gratitudine dei visitatori dell’oasi. L’amarezza è aggravata dal fatto che i lavori, o meglio le distruzioni, sono stati fatti in un momento dell’anno sbagliato, danneggiando anche la fauna e la nidificazione. Purtroppo, come spesso in questi ultimi anni, la vigilanza per tutelare il verde sembra dissolta: scomparse la Polizia provinciale e la Forestale, siamo ormai indifesi contro gli abusi? Anche qui, complice il Lockdown e l’impossibilità di muoversi fuori del proprio comune, la pressione dei visitatori alla ricerca di verde e ossigeno è diventata pesante.

Appena fuori dal folto, fiori e farfalle continuano imperterriti a vivere e donare colore e leggerezza nonostante questi sbreghi. Ci si augura che non ne avvengano più, in fondo è un’oasi protetta, non una piantagione di pioppi né un giardinetto urbano. È un luogo dallo spirito robusto e si spera sopravviva e rinasca, come già fece una volta. Si può visitare a piedi liberamente, con qualche accortezza: tenere i cani al guinzaglio, evitare di schiamazzare e gettare rifiuti, insomma le solite cose che in genere sono lasciate alla buona volontà dei visitatori per mancanza di controlli. C’è più attenzione per la natura, oggi, da una parte, come racconta la storia della rivolta contro i tagli dei pioppi cipressini, ma le volpi, i ghiri e le poiane sembrano interrogarsi: ce la faranno i nostri eroi a salvare questo posto?

 91.000 euro per tagliare dei pioppi (anche quelli sani) e dei rovi 

Oasi Bosco del Carengione

Peschiera Borromeo (Milano), frazioni Bettola, San Bovio e Mezzate

Come ci si arriva

Da Milano in auto: strada Paullese, uscita a Peschiera Borromeo, oppure sul lato Est dell’Idroscalo verso San Bovio.

Visite e altre informazioni

Rivolgersi a Walter Ferrari, tel. 3397615179, mail  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. . Walter Ferrari ha prodotto un DVD “Oasi Carengione nelle quattro stagioni” con foto e video di flora, fauna e paesaggio” e altri DVD naturalistici. Per averli rivolgersi all’autore o visitare il sito https://walterferrari.it/oasi-carengione.html

Un video su facebook da una fototrappola: una nidiata di volpi>>

Alcune delle informazioni riportate sono riprese dalla pubblicazione “Il parco del Carengione” di Sergio Leondi, storico locale.

Sulla vicenda dei pioppi cipressini si può visitare la pagina facebook>>  La-Voce-degli-Alberi-a-Peschiera-Borromeo

Il castello Borromeo di Peschiera www.castelloborromeo.it