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La Foresta da mangiare

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

Bambini e conigli sotto i cavoli, ovvero: La foresta da mangiare

Avviso: non è uno spot del mulino bianco, è tutto vero.

Abito a Milano. Esco in bicicletta. In cinque minuti arrivo fra i campi. In dieci minuti arrivo dove  c’è un inizio di “Food Forest”, in parole povere un boschetto con alberi da frutto e altri alberi del luogo, piantati un anno fa, ancora piccoli. Molti sono alberi da frutto, ma ci sono anche alberi e arbusti di altro genere. Il progetto è di consociarli con ortaggi e verdure. A fianco, un campo a orto, grande e vario, ma senza le recinzioni dei classici orticelli urbani. Senza protezione per ora, lungo stradine di campagna ai bordi di un quartiere residenziale periferico abbastanza verde. Dalla stradina asfaltata entro in uno stradello in terra battuta e arrivo a un punto dove ci sono ripari per gli attrezzi, alcuni tunnel agricoli autocostruiti, sedie e tavolini, un forno in terra cruda, un banchetto dove si possono prendere verdure appena colte a qualche metro di distanza, file e file di cavoli, zucche, finocchi, insalata, pomodori e altro ancora. Un mercatino all’aria aperta fra persone che vanno a prendersi da sé alcune verdure o che intrattengono i bambini delle famiglie venute a collaborare o a comprare. Altri aspettano chiacchierando senza code né assembramenti il proprio turno ascoltando la signora infangata e dalle scarpe grosse che conduce il tutto insieme al marito mentre spiega ricette strane, con ortaggi e verdure mai sentiti nominare, e insegna a utilizzare anche le foglie e i torsoli. Non si butta niente, si scopre che ciò che normalmente si scarta è molto gustoso, nutriente e salutare. In effetti, quando si arriva a casa con la sporta piena viene voglia di sperimentare. E sono davvero buone, croccanti ed energiche, non appassite e mosce come quelle che viaggiano per migliaia di chilometri o anche solo passano dai mercati. Oltre al gusto fisico, ce n’è uno speciale, impalpabile ma molto sostanzioso, nel mangiare cose prese da sé un’ora  prima dal campo. Preparandole, le si sente scrocchiare rumorosamente, paiono avere molto da raccontare, si esplorano volentieri le volute di cavoli-rapa originali, le foglie arricciolate di erbette color vinaccia sconosciute, le fogliette di un’altra specie di rapa insolita, la mizuna (chi è costei?) .  Sono bio, ma non ai prezzi delle simil-gioiellerie dei negozi green del centro, molto ruspanti.   

Fra l’orto diffuso e gli alberelli della vera e propria “foresta nutriente”, qualche cagnolino dei visitatori e dei lavoranti scorrazza e occasionalmente scava (alla caccia di qualche animaletto?), qualche coniglietto sfugge ai primi ma, accidenti, a volte va a prendersi qualche pianta, racconta la coltivatrice. Ne parla con simpatia: anche se fanno marachelle, dei coniglietti fa il logo della “azienda agricola di quartiere”, li mette sui cartelli fatti a mano che indicano l’ingresso oltre una siepe.

Sopra, volteggiano falchetti che avvistano i movimenti delle prede, gazze e altri pennuti che arrivano dal vicino parco della Vettabbia e dagli alberi della zona. Anni fa, a 100 metri da qui c’era “l’albero dei gufi”, ben noto ai naturalisti: fra i condomini di una via adiacente, ospitava decine di rapaci notturni che l’avevano scelto come dimora. Restavano lì anche di giorno, li vedevamo immobili (di giorno, è naturale: di notte si sguinzagliavano a caccia). A un certo punto sparirono, forse avevano trovato qualche angolo più ameno o esaurito le prede in loco.

Si chiacchiera mentre si riempiono le sporte, si fa una cassetta con un prezzo standard a peso senza distinguere fra i “prodotti”, li si sceglie con calma, li si ripone cominciando già a immaginare come lavorarli e scambiandosi suggerimenti con gli altri acquirenti e i collaboratori dell’orto.

I bambini scorrazzano contenti, qualcuno finisce nascosto sotto le ampie foglie dei cavoli. I bambini di Milano, abituati a pensare che le verdure nascono nel supermercato, qui invece vedono con i loro occhi e toccano con mano la terra, aiutano a prendere i pomodori,  a fare il compost e a piantare gli alberelli. Oppure vengono quando è il periodo giusto a prendersi le zucche per la festa delle lumère, versione nostrana di Halloween, e di quella più antica. 

La Comunità di Supporto all'Agricoltura

Dicevo: non è uno spot, e non è neanche il caso di far sapere troppo che esiste questo posto, anche se ormai se ne parla, anche il Corrierone ne ha parlato. Perché, che io sappia, è unico a Milano. Di orti è zeppa Milano, anche di orti comunitari ce ne sono molti, ma di una Comunità di Supporto all’Agricoltura non si era mai sentito parlare a Milano; ce ne sono esempi altrove, soprattutto in Emilia-Romagna, la più nota è l’Arvaia di Bologna, comunità di coltivatori biologici. È un ibrido fra una cooperativa e un’associazione no profit, con l’intento di dare vita a un’agricoltura periurbana che rivitalizza le aree abbandonate dalle coltivazioni intensive, con la partecipazione  teoricamente di tutti i cittadini che condividono questo scopo e con lo scopo complementare di rinforzare e migliorare i legami sociali con l’inclusione anche di persone e famiglie svantaggiate. Non è un orto “di sopravvivenza” sul modello di quelli sorti ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, né un orto classico seppure condiviso come ce ne sono molti ormai in città. La differenza è che tutti possono fare una piccola parte dei lavori, iscrivendosi, e raccogliere, e che al contempo offre servizi a tutto il quartiere. Soprattutto, per ora, non è racchiuso in uno spazio cintato. La differenza è lampante: proprio di fianco ci sono i classici piccoli recinti in cui ciascuno “coltiva il proprio orticello”. Bello e utile, ma qui mi pare che si coltivi anche qualcosa d’altro, così raro di questi tempi. Comunque, l’idea non è che tutti vengano qua, ma che se ne facciano in ogni quartiere. Certo, arrivano spesso entusiasti cittadini che vorrebbero darsi da fare per l’orto, poi spariscono in fretta quando scoprono che la terra è in basso, il fango finisce sotto le unghie, invece delle scarpe servono stivali, la carriola è faticosa da spingere, il caldo e il freddo esistono davvero stando fuori dagli ambienti riscaldati d’inverno o rinfrescati d’estate dall’aria condizionata. Sudore e geloni alle mani possono far parte dell’avventura. Altri invece nonostante questo rimangono a collaborare, uscendo dalla comfort zone e pare ne provino piacere.  

Questo spicchio gustoso di terra è gemellato, dicevo, alla nascente Food Forest confinante. Lì almeno un centinaio di persone hanno lavorato a preparare il terreno e piantumare sotto la guida di Cascinet. È un’associazione che gestisce una cascina vicino al Parco Forlanini, a fianco di capannoni e gasometri in disuso, in una via difficilmente raggiungibile lungo percorsi tortuosi a fianco della tangenziale: la cascina Sant’Ambrogio, misconosciuta, una delle più antiche di Milano (ci sono resti di una chiesa romanica con un abside che si cerca di restaurare). Si coltivava ancora negli anni Novanta, dal 2012 un gruppo di giovani l’ha rianimata; oggi si coltiva su un piccolo spazio e soprattutto si fanno molte iniziative, corsi, feste e incontri musicali e culturali. Quella che spesso è la seconda vita delle cascine a Milano, fra i pochi spazi che diventano luoghi di incontro fuori dai circuiti commerciali.

Cascinet e la Food Forest

Ma qui siamo da un’altra parte, qui di terra ce n’era in maggior misura ed è stata ottenuta dal Comune per fare questi due esperimenti complementari, Food Forest e Comunità di Supporto all’Agricoltura. Cascinet ha già realizzato una piccola Food Forest vicino alla sua cascina in via Cavriana, dove c’era una discarica, e ne ha in programma un’altra al Parco Nord. Ma insomma che cos’è questa Food Forest? È “una tecnica che simula un ecosistema boschivo coltivando l’area su più strati: erbaceo, arbustivo e arboreo. Al primo piano troviamo gli alberi da frutto mentre ai piani inferiori ci sono arbusti di bacche commestibili, piante perenni e annuali in modo da creare un ecosistema che sia in grado di ottenere una produzione elevata, ma sostenibile, di cibo con una manutenzione minima”, dicono i promotori.  Fra le specie utilizzate, acero, biancospino, carpino, ciliegio, frassino, melo selvatico, nocciolo, pero selvatico, prugnolo, rosa canina, sanguinella, quercia e tiglio. Qui ho visto anche melograno e fico. Ma in via del tutto eccezionale, in sostituzione di due alberelli che non avevano attecchito, io ho potuto piantare due piccoli ginko. Mi piace raccogliere i loro puzzolenti semi, metterli nei vasi, lasciarli germinare e crescere sul balcone e poi “liberarli” quando sono abbastanza alti, dopo due-tre anni. Ora i ginketti “fuori dalle righe” hanno ricevuto ospitalità. Non c’entrano molto con le intenzioni iniziali, ma sono stati accolti nella piccola foresta. Grazie!

La Vitalba

La tecniche utilizzate sono di “agricoltura rigenerativa”, con cui è possibile anche ovviare ai possibili inquinanti presenti nei terreni. Sarebbe l’ideale per le aree urbane da recuperare a uso agricolo (nel 2019 è stata fatta una legge nazionale a questo scopo). Un’agricoltura urbana diversa da quella che c’è oggi ai bordi delle case, dove ci sono i campi di mais o di altre colture che poi vengono spediti altrove, o gli orti privati. Un’agricoltura davvero a chilometro zero, fuori dagli slogan di moda. Se son cavoli fioriranno.

Carmen e Francesco, promotori della CSA, mi spiegano come fanno, con le “piante sentinella” che avvisano se c’è inquinamento, con le consociazioni con piante che depurano, con le sostanze chelanti che fissano i metalli e con gli ormai classici compostaggio, pacciamatura (copertura del terreno con materiale per proteggerlo da insolazione e gelo) e sovescio (interramento di piante fresche che fungono da concime). Senza ovviamente diserbanti e pesticidi. È un progetto pilota per tutta Italia, dicono. Dopo aver condotto la loro azienda agricola biologica vicino al Lago Maggiore, a Milano hanno iniziato raccolto questa sfida insieme a Cascinet. Queste tecniche potrebbero ripulire le aree abbandonate e renderle di nuovo produttive. Le spiegano diffusamente nei loro documenti; per un cittadino medio è difficile capirle; in sostanza, mi apre di aver compreso, si tratta di alterare il meno possibile il terreno, che è vivo, e arricchirlo naturalmente di sostanze che lo depurano facendo da filtri e lo rendono più fertile. Del resto, hanno scelto come nome La Vitalba, che è una pianta colonizzatrice, va dove c’è abbandono e si insedia ripristinando il verde. La vitalba si usa anche come olio essenziale, in naturopatia ha il potere di dare concretezza, aiuta i sognatori a poggiare bene i piedi in terra e a mettere in pratica le proprie aspirazioni. 

Siamo vicino al Parco della Vettabbia e a Chiaravalle, zona sud di Milano, fra la via dell’Assunta e via Piero Bottoni, ai bordi del quartiere chiamato “Fatima”. I campi della zona sono coltivati solo in parte. Vicino c’è una cascina diroccata occupata; di recente è stato segnalato l’accumulo di rifiuti pericoloso fatto da aziende, anche di nome, pare con qualche complicità criminosa (si sta indagando) e con i relativi roghi. E lungo la lunga stradina che da qui porta a Chiaravalle, via Vaiano Valle, spesso vengono scaricate immondizie e si trovano auto bruciate. I campi sulla stradina che da Corvetto porta qui, via dell’Assunta, sono stati blindati con la classica palizzata di legno e plastica rossa, segno di qualche edificazione messa in cantiere che però non c’è mai stata e si spera non ci sia mai. Anche perché nel frattempo il Comune ha piantato qui qualche centinaio di alberelli allargando di fatto il confinante parco della Vettabbia.

Ancora troppo spesso il residuo verde agricolo ai bordi della città viene preso per una discarica a cielo aperto, per un vuoto fuorilegge da sfruttare in ogni modo, e si degrada. Pochissimi fanno ancora agricoltura in modo classico, non conviene più: forse bisogna inventare una nuova forma di coltivazione sociale, moderna, al servizio di chi abita attorno ai campi ma li ignora. Il suolo agricolo è una ricchezza anche sociale. In questo luogo la presenza di persone che lavorano insieme e si incontrano fa sì che la terra venga sentita come propria e sia custodita e utilizzata. Anche la natura se ne giova: restano le siepi incolte dove gli uccelli possono posarsi e i piccoli animali prenotare un posto nel futuro boschetto, animali che invece scompaiono con l’agricoltura intensiva. L’augurio è che continui così. Aiutando a dare cibo sano, creando lavoro, ripulendo l’ambiente, migliorando il clima.

In effetti, in omaggio al nome del quartiere, tutto ciò sembra un’apparizione. Speriamo che non finisca come là: la quercia dove era apparsa la Madonna fu poi devastata dai fedeli che ne portavano via ciascuno una foglia o un ramo. Visto con i miei occhi, quel povero albero profetico ridotto a uno scheletro. Quando si guarda il dito e non la Luna. Strano a dirsi, finora questo luogo invece sembra protetto: a parte i conigli e le nutrie contro cui dovrà essere elevata una rete di protezione, gli umani hanno rispettato finora sia gli alberelli sia le verdure e gli ortaggi. Speriamo che duri e sia sostenuta, per esempio dai cittadini organizzati in GAS, i gruppi d’acquisto solidali che qui trovano prodotti davvero a chilometro zero. Se vogliamo leggere i simboli e i loro presagi, ne troviamo molti di buon auspicio, oltre al coniglio. Qualche anno fa, quando si smise di coltivare intensivamente, ci fu un’altra apparizione incredibile: un fiorire sterminato di papaveri, da qui fino a Chiaravalle. Passando ci fermavamo incantati dalla bellezza. Papaveri nei campi ce ne sono sempre, da queste parti, ma un’esplosione del genere fu fantastica, memorabile. I papaveri, lo sapevate? si mangiano anche! In quell’estate nutrirono anche la fantasia e mostrarono di cosa è capace la natura quando è compresa, assecondata e lasciata libera di esprimersi.

Parco Agroforestale Urbano Vettabbia-Vaiano Valle.

Come ci si arriva

Via Sant’Arialdo, zona via Ripamonti (sabato e domenica ora è chiusa al traffico automobilistico, il punto di ingresso per chi viene in auto è di fianco all’area cani di via Piero Bottoni).

Mezzi pubblici: autobus 34 e tram 24 (via Ripamonti, 5 minuti a piedi).

Apertura

Sempre aperto. Il mercatino e gli incontri sono di sabato mattina e a volte la domenica.

A chi rivolgersi

La Vitalba azienda agricola di quartiere, www.lavitalba.it,  tel 328 8678 876, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  

Sulle CSA: https://bit.ly/3dliyYq

Cascinet, https://cascinet.it/  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Sulle Food Forest:

www.ilcambiamento.it/articoli/facciamo-dell-italia-un-paradiso-di-foresta-orto-giardino-commestibile

https://www.italiachecambia.org/2019/07/food-forest-trasformare-proprio-orto-o-giardino-in-oasi-di-bellezza-cibo/