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Il laghetto fatato

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

Il laghetto fatato

Le cave sono buchi dove si scava per estrarre ghiaia, sabbia, argilla, gesso o altri materiali per le costruzioni e per l’industria. I mattoni e il cemento con cui si costruiscono le strade e le case. Sono dunque ferite nel corpo della terra (se ci permettiamo di immaginarla così, come una parte del mondo vivente: e lo è, senza terra niente piante niente cibo niente noi). Ferite che servono a noi umani per proteggerci ed edificare l’ambiente artificiale in cui viviamo. Ferite forse necessarie ma che si possono curare e rimarginare. Ferite che oggi bisogna limitare il più possibile: abbiamo costruito troppo, ne abbiamo abbastanza, abbiamo case e uffici vuoti dappertutto. Se continuiamo a costruire e non a recuperare e riusare è per l’inerzia assurda e malata del nostro essere virus distruttivi contro cui bisogna trovare un vaccino fatto di nuovi comportamenti sani.

Attorno a Milano ci sono moltissime cave. Tonnellate e tonnellate di minerali e di terra che ora sono finiti nei muri, nell’asfalto, nei prodotti industriali, nelle cose che maneggiamo o calpestiamo senza saperlo. Dovremmo ricordarcene: dalla terra prendiamo tutto; dovremmo essere grati e non esagerare. Chiudo il pistolotto ambientalista, perdonatemi. A volte ci vuole.

Note agli abitanti del contado, le cave erano sconosciute ai cittadini che guardano solo verso il centro. Ma l’apertura del parco delle Cave, a Baggio, le ha rese famose anche al “pubblico” più urbano. Molte altre cave dell’area metropolitana hanno perso la loro funzione originaria, sono restate chiuse e abbandonate, alcune per decenni, e si sono riempite d’acqua della falda (l’acqua sotterranea su cui “galleggiano” Milano e il circondario) e dell’acqua dei fontanili vicini. La quasi completa scomparsa delle fabbriche, in più, ha lasciata l’acqua libera di alzarsi di livello. Ed ecco che molte di quelle voragini abbandonate sono diventate laghetti. Alcune di esse, naturalmente, hanno richiamato la vegetazione e gli animali selvatici. Ma anche pescatori di frodo, discariche abusive e vari tipi di degrado. Oppure sono diventate sedi legali di pesche sportive, Country Club o laghetti di quartieri residenziali più o meno esclusivi, privatizzate. Ora alcune di quelle abbandonate vengono recuperate. A questo proposito c’è una storia recente e vera, anche se sembra la classica fiaba.

“Una donna passava spesso ai bordi di una cancellata, in un paese vicino a Milano, di fianco alla tangenziale. Lei già si dava da fare per un parchetto molto carino, lì vicino, dove vanno le famiglie e i bambini e i cani e gli anziani e gli sportivi a passeggiare e correre. Un bel posto, ma ancora troppo spoglio per i suoi gusti. Infatti guardava al di là della cancellata e vedeva una grande distesa d’acqua e un bosco dai grandi alberi cresciuto attorno alle rive. Un luogo che da fuori si intuiva bellissimo, sbirciando fra le frasche, ma dove non si poteva entrare. Camminando fuori dal laghetto vedeva (o immaginava?) il tramonto sull’acqua, gli aironi e gli uccelli che si posavano sugli alberi, sentiva il richiamo di civette notturne, vedeva coniglietti scappare dalla strada per infilarsi nella cancellata e sparire nel bosco. I proprietari sono immobiliaristi e cavatori. Su un lato del lago si scavava fino a pochi anni fa, oggi si trattano rifiuti a terra. Il lago è grande, l’altra sponda è un incanto, si diceva questa donna. Accidenti, rimuginava anche un poco arrabbiata, ma è possibile, un posto così a far niente, quando qui in questo paese abbiamo pochissimo verde! Tutta quell’acqua, quegli alberi, a portata di mano, eppure per trovarci in un posto ameno e selvatico dobbiamo andare lontano e prendere l’auto o il treno. E poi, appena al di là, non c’è un altro laghetto - anche questo però lontano, non in linea d’aria ma perché cintato e raggiungibile solo da tutt’una altra parte? Perché resta così questo angolo di bellezza? Di chi è? Non si può chiedergli di aprirlo? Così ragionava fra se e sé nella sua fantasia. Finché non successe che un amico arrivò e le disse che il Principe le aveva dato appuntamento al lago.”

L’ho raccontata così perché a volte le favole sono vere, anche se non lo sono, o lo diventano.

Dalla favola alla cronaca, dunque. Fortuna volle che quell’imprenditore proprietario fosse sensibile all’ambiente e alla solidarietà sociale. La fortuna che aiuta chi osa, si direbbe. L’imprenditore, un giovane di cui non faremo il nome perché non ama comparire – ma si può intuire chi è – stava a sua volta pensando di fare qualcosa con quella cava di cui era comproprietario. Animato da uno spirito ambientalista – che a volte infetta anche i benestanti, non solo chi ha bisogno del verde per respirare e per muoversi a due passi da casa – l’imprenditore, dunque, si rivolse ai lavoratori-animatori di un’eccezionale esperimento sociale del luogo: una fabbrica presa in gestione dai lavoratori, che ricicla tutto, riusa, fa inclusione sociale, ospita e sostiene artigiani ed artisti… e funziona! Rimaflow, si chiama. Anche questa è vera, non è leggenda. Quelli della Rimaflow gli suggerirono il nome della fatina. Che aveva i suoi buoni alleati, con cui gestiva già il parco cittadino quasi confinante, il Parco del Centenario, al di là della strada lungo cui corre la cancellata di cui sopra. E disse sì, certo, non aspettavo altro. Anche il Parco Sud, i volontari della protezione civile e delle associazioni locali si misero di buzzo buono e gli alleati umani della fatina si mossero attorno all’associazione Salvambiente, nata da genitori intenzionati a migliorare la vita dei figli e la propria, ai docenti e dagli studenti. E arrivano in molti nell’estate del 2019 per ripulire le rive e vedere il da farsi. Successo, tante persone, funziona l’esperimento di partecipazione popolare (parole desuete, ma chissà perché: autorevoli branche di studi dicono che non è dalla competizione che parte l’evoluzione, ma dalla collaborazione. Altrimenti saremmo già tutti estinti).

Siamo a Trezzano del Naviglio. Appena al di là del Cerchio Magico della tangenziale. Mi viene a prendere al treno la fata con un’auto sgangherata ma coloratissima e dipinta, piena di tutto, sporca di terra e carica di utensili e oggetti vari come non ne vedevo dai tempi delle mie ormai lontane imprese di volontario. Mi porta all’ingresso in pochi minuti. È chiuso con un lucchetto. Al di là, il laghetto e il giardino incantato che hanno allestito sulla sponda. Ci sono sculture, mandala naturali, un modellino di chiesetta che fotografata davanti al laghetto fa sognare di essere in qualche angolo di montagna svizzera o trentina, una campana donata da un partecipante ai campi di lavoro – serve a richiamare ma anche a celebrare e meditare. Ci sono l’hotel degli insetti, i simboli fatti con oggetti naturali, le canoe e i sup con cui si naviga sul laghetto, l’amaca per il relax, l’angolo romantico dove si può abbracciare un albero sotto una sorta di tenda naturale, l’area giochi senza giochi attrezzati stile giardino urbano ma dove i bambini sono incoraggiati a costruire capanne di rami e bambù, la tana “del lupo”, il piccolo vivaio che serve ai guerrilla gardeners che di straforo vanno a piantare in luoghi da recuperare, panche e tavoli, un osservatorio ornitologico per spiare i numerosissimi pennuti che passano o sostano. Mancano i cestini perché i volontari non possono permettersi la tassa sui rifiuti ed esortano le persone a farsi carico dell’immondizia portandosela via. Economico ed educativo. 

Insomma un microvillaggio dell’immaginazione creativa, che piace tantissimo ai bambini e alle famiglie che stanno cominciando a frequentare queste rive. Finalmente, camminando poco o in bicicletta, dalla plaga di Trezzano possono entrare a pieno titolo in un luogo che nelle foto dei tramonti potrebbe essere ovunque su un catalogo turistico. Certo, dopo il primo incantesimo si intravedono piloni e fili elettrici e il mucchio di terra di riporto degli scavi lontano sulla sponda opposta. Ma li si accoglie con benevolenza, anche essi servono.  Del resto il laghetto è molto grande, 11 ettari.

La fata mi porta lungo il sentiero a vedere dove c’è il confine con il vicino Parco dei Fontanili di Muggiano, che è in Comune di Milano. Attorno al Mezzetta i fontanili sono due, a rimpinguarlo. È una zona irrigua, dall’agricoltura ricca un tempo: là a pochi passi c’è un altro laghetto, ben più frequentato, con tanto di cigni (da loro prende il nome), questo però molto frequentato e “addomesticato”. È un Idroscalo in scala ridotta sul versante occidentale, con bar e animazione eccetera. Di domenica al Lago dei Cigni c’è il mondo, mi dice la guardiana del laghetto selvaggio, che invece si può visitare solo nel pomeriggio di tutti i giorni, quando ci sono i volontari di Salvambiente, che per ora invitano ad aiutare nei lavori per poi poterlo usare per rilassarsi. E sull’amaca e sulle sdraio, quando si tira il fiato, si sogna: il sogno è di collegare il parco comunale attiguo e i due laghetti, con un percorso pedonale e ciclabile fino ad arrivare a scavallare la tangenziale e passando per Cesano Boscone unire questi quattro parchi, i laghetti e tutto questo ambito semiselvaggio di Muggiano e Trezzano, con le cave del parco milanese omonimo, sempre a favore di piedi e due ruote. Sarebbe un formidabile corridoio ecologico e storico verso la città, in questo Ovest milanese rimasto relativamente verde: Assiano era - ed è -  una località a due passi da Muggiano, quest’ultimo quartiere milanese ma oltre tangenziale. Uno degli straordinari ma trascurati resti di borghi antichi di Milano, di cui racconta fra gli altri Roberto Schena nei suoi libri che tracciano una mappa dei luoghi agresti e storici inglobati a forza nella città, che sarebbero da salvare per proteggere l’identità della metropoli, la quale non è solo centro né periferia ma un aggregato di realtà sia urbane che rurali; queste ultime hanno alimentato la storia e rappresentano l’anima della metropoli, tanto quanto l’area costruita. Questa è ecologia: ogni parte dell’ecosistema è importante e ha una sua funzione. Non solo l’artificiale e moderno.  

In ogni caso, sogno o non sogno, già ci hanno pensato le lucciole a gemellare questo laghetto “nuovo” con il parco cittadino più noto. D’estate si va a vederle anche qui e si immagina che sciamino assediando tremolanti la metropoli abbracciandola e portandole un po’ di serenità.  

Lago Mezzetta di Trezzano sul Naviglio

Come ci si arriva

In treno da Milano (da Scalo Romana, San Cristoforo o Romolo, linea Passante per Albairate). In auto uscita tangenziale Ovest per Trezzano sul Naviglio.

Apertura

Aperto solo al pomeriggio in base ai turni dei volontari.   

A chi rivolgersi

Associazione Salvambiente,  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. 366 159 1748