Il bosco originario. L’oasi WWF di Vanzago e il corridoio ecologico Ticino-Milano
Il bosco originario. L’oasi WWF di Vanzago e il corridio ecologico Ticino-Milano
Dove c’è ora Milano era il bosco. Fin dai tempi della scrofa semilanuta seguita dalle tribù dei Galli, la quale si fermò in una radura dove essi decisero di accamparsi per assecondare il presagio. Si adunarono, abbatterono alberi e fecero mercato, amministrarono la giustizia, pregarono e costruirono case. Né più né meno di quello che si fa tuttora a Milano.
Era un luogo ameno quello dove si stabilirono le tribù. Tutta la Pianura Padana era una grande foresta, qui invece trovarono una radura, in un luogo ricco d’acque, fra fiumi e laghetti, con tanti animali da cacciare. Poi arrivarono i Romani, si cominciò a coltivare e allevare, si moltiplicarono case e villaggi, la pianura si trasformò in una distesa di campi, risaie, pioppeti. Ma i boschi restarono. Fino al 1700 in alcune zone erano ancora fitti e impenetrabili, ci si andava a caccia di lupi; alla fine di quel secolo, erano ancora il 14% del territorio attorno a Milano. Anche perché i signori feudali ne avevano protetti molti ben bene dai villici, per andare a caccia. I grandi alberi non potevano essere tagliati. I boschi e gli animali erano loro patrimonio, i contadini non potevano attingere alla fauna per nutrirsi, potevano al massimo raccattare rami e tronchi caduti per scaldarsi e catturare qualche lepre o fagiano che ne scappava. Fame e sottonutrizione endemiche, al punto che nel 1300 alcuni pietosi e ingegnosi frati nella Bergamasca avevano inventato un sistema per fornire qualche proteina animale ai servi della gleba denutriti: il roccolo per l’uccellagione. È una torretta contornata da un doppio filare di carpini, fra i quali erano stese reti per catturare i malcapitati uccellini attirati da altri sventurati pennuti tenuti in gabbia che li richiamavano con il loro canto. Si posavano a frotte, richiamati anche dalle bacche di arbusti (come il “sorbo degli uccellatori”); a quel punto dalla torretta si buttava uno spauracchio che agli alati condannati pareva uno falco in picchiata. Gli uccellini scappavano in ogni direzione fuorché verso l’alto, cosicché finivano nelle reti a centinaia ogni volta. Non andiamo oltre nella descrizione di quello che avveniva in seguito. Alcuni reduci del Medio Evo continuano a farlo, nella “civilissima” Lombardia: evidentemente sono rimasti miserabili nella mente, pur avendo superato la fame fisica. Per fortuna molti roccoli oggi sono diventati centri di inanellamento degli uccelli per censirli e fare studi scientifici sulle migrazioni. Il roccolo di Vanzago oggi è casa di uccelli rapaci e canori, ghiri e pipistrelli.
Il roccolo
Caccia e anticaccia
Di tenere un bosco per sé lo aveva fatto nel secolo scorso anche un industriale di Vanzago, che aveva proseguito la tradizione della riserva di caccia. Comprò una grande tenuta con uno degli ultimi grandi boschi rimasti attorno a Milano, si chiamava bandita Mantegazza. Ci fece laghetti per attirare le anatre, ci ripopolò i caprioli, conservò la cinta di mura a proteggere la riserva, andò al roccolo forse più per sognare di essere un signorotto dei tempi antichi che per abbuffarsi di polenta e osei. Alla fine della sua vita però il cacciatore proprietario del bosco, Ulisse Cantoni, forse si pentì di ciò che aveva fatto agli animali. Decise di lasciare quel suo regno al WWF perché “da luogo di morte diventasse luogo di tutela e di studi della natura”, così scrisse nel lascito. Era la fine degli anni Settanta. Allora i cacciatori in Italia erano legioni, quasi due milioni. Sparavano a tutto lo sparabile, diffondevano la morte e il piombo delle loro cartucce ovunque; gli uccellatori catturavano milionate di uccelli, al punto che i tedeschi amanti della natura minacciavano di sanzioni il nostro Paese. Molti cacciatori nostrani furono sopraffatti dalle malefatte dei loro colleghi d’arme e si pentirono, fra cui lo stesso presidente dell’epoca del WWF, Fulco Pratesi, che divenne poi strenuo difensore degli animali e della natura. I paradossi della storia e della natura umana. In quegli anni furono molti gli studiosi a chiedere di fermare la caccia, fino a chiedere di abolirla del tutto. Soprattutto, gli entomologi facevano notare come la strage di uccelli ci mettesse a rischio rispetto al moltiplicarsi degli insetti: tutti gli uccelli, anche i granivori, smangiano anche insetti quando devono nutrire i neonati nel nido. Erano anni nei quali di agricoltura biologica si parlava sentire ancora pochissimo. Si parlava però già di lotta biologica integrata: usare ad esempio le coccinelle per limitare gli insetti di cui si nutrono, per limitare l’uso dei pesticidi (che poi ci finiscono nel piatto). Uno dei promotori del primo referendum contro la caccia, fin dal 1978, fu il noto etologo ed entomologo Giogio Celli: in una delle prime riunione della Lega per l’Abolizione della Caccia tuonò dal palco dicendo che non si dovevano fare parchi nazionali o regionali od oasi, ma che tutto il territorio nazionale andava protetto integralmente! Fu subissato da applausi ma nessuno, ai livelli politici importanti, lo ascoltò. Ma tanti erano contro la caccia. Il referendum raccolse grandissime adesioni ma non si andò a votare, nel 1980, perché la Corte Costituzionale trovò cavilli di forma. Eppure il sentimento della gente era chiaro, quanto l’esigenza espressa dagli scienziati: all’80 per cento, gli italiani non volevano più la caccia che esistesse. Purtroppo è ancora qui viva e vegeta dopo quarant’anni e passa, in quello che venne chiamato il Belpaese.
Uno dei laghetti all'oasi di Vanzago
L’oasi nel deserto antropizzato
Dunque il bosco di Vanzago divenne un’oasi. Una delle prime del WWF: procedeva così spedita la “distruzione della natura in Italia” (titolo di un libro storico di Antonio Cederna), bibbia dei conservazionisti di allora, da spingere a cercare di salvare qualche lembo di territorio naturale essenziale per il futuro. Luoghi dove la ricchezza della vita potesse fare da “banca dei semi”. Le altre prime oasi WWF furono la laguna di Orbetello e quella vicina di Burano, in Toscana e Lazio, luoghi bellissimi, essenziali per gli uccelli migratori che volano dall’Africa al Nord Europa e trovavano solo poche paludi sopravvissute dove posarsi, salvatesi dalla esagerata pratica delle “bonifiche”; in queste paludi però pochi si salvavano dalle doppiette. Ma questa oasi di Vanzago era diversa, preziosissima e unica: a due passi da una delle zone più industrializzate e abitate d’Italia (e non solo), fra autostrade e ferrovie, campi e canali. Il deserto tecnologico e antropizzato. Ci sono altri piccoli boschi superstiti fra Milano e il Ticino, come quelli di Riazzolo e di Cusago, di minore estensione e non protetti; e tanti luoghi nella zona sono chiamati bosco o boscaccio a testimoniare però solo il passato.
Una delle querce centenarie
Ancora oggi Vanzago è uno dei pochissimi luoghi dove si può stare nel silenzio e sentire i canti degli uccelli, fra piante centenarie, scorgendo caprioli e falchi, gufi e anatre selvatiche, tritoni e rane rare negli stagni. Dove il tasso può andare e venire a distanza di sicurezza dalla volpe, dove i bambini possono immaginare di essere stati un tempo liberi di sporcarsi le mani, rotolare nel fango e arrampicarsi sugli alberi. Sono 200 ettari di cui la maggior parte cintati; 140 di proprietà diretta del WWF per lascito testamentario. Ci sono anche campi dove si coltiva biologico; ci sono api e mucche di una varietà quasi estinta proveniente dall’Appennino a cavallo di Lombardia, Piemonte e Liguria, qui protetta e salvata; c’è un centro veterinario di recupero degli animali selvatici. L’anno scorso il CRAS, Centro Recupero Animali Selvatici, ha fatto almeno 4000 interventi: tanti e molti di più sono gli animali selvatici schiacciati dalla megamacchina umana, dall’inquinamento, dall’impatto con automobili, camion, vetrate, uccisi da trappole o bocconi avvelenati, preda di commercio illegale di animali. Da qui, dove un tempo venivano uccisi, oggi sono liberati dopo le cure, quando possibile non nell’oasi ma altrove, tranne casi speciali. Oppure sono curati pietosamente: ci sono alcuni gabbioni dove soggiornano gufi, tartarughe e altri animali curati o sequestrati a chi li deteneva illegalmente, che non possono più tornare in libertà perché non saprebbero mangiare e sopravvivere in natura.
All’oasi si fanno educazione ambientale e tanti lavori per curare la naturalità del bosco, piantare alberi e arbusti ove appropriato e cercare di limitare le piante infestanti come la robinia, l’ailanto e soprattutto il ciliegio nero (Prunus serotina), anch’esso invasivo, di origine nordamericana, portato improvvidamente in queste plaghe dai mobilieri brianzoli per farne legna da mobili ma risultato poi inadatto e ora moltiplicato oltre ogni limite, a spese degli arbusti tipici dei boschi, che pure sono presenti nell’oasi: sambuco, biancospino, nocciolo, pado, pungitopo, aghifoglio e tasso. Gli arbusti nel bosco sono importanti anche perché danno rifugio ai piccoli uccelli, i passeriformi; soprattutto i sempreverdi sono fondamentali d’inverno per nasconderli alla vista dei predatori e difenderli dal freddo.
Un vecchio tronco lasciato sul posto: è nutrimento per il suolo e per gli animali.
Soprattutto, a Vanzago si respira quella che poteva essere l’aria di qualche secolo fa: frizzante, pulita, profumata dalle fioriture in primavera e estate, rinvigorita da migliaia e migliaia di piante e alberi. Si trova la terra fertilizzata dai rami e dai tronchi caduti, ricca di insetti e nutrienti. Sì, proprio il bosco “disordinato” che oggi si teme e svilisce come una bruttura. Che il bosco debba essere “ordinato” (secondo cervellotici criteri) non lo dicono solo persone ignoranti nel campo specifico ma fior di agronomi, che però forse hanno scambiato la foresta per il proprio tinello. Siamo un Paese nel quale geologi, naturalisti e storici dell’arte sono in via di estinzione come i panda. Anche se abbiamo quasi più varietà naturale e beni culturali del resto del mondo messo insieme e potremmo vivere tranquillamente soprattutto di turismo, cultura e scienza (finito il Covid, si spera), come giardinieri-custodi-ricercatori, in una bellissima villa che ci è stata lasciata in eredità. Dovremmo lavorare per mantenerla così com’è, facendo solo lo stretto necessario per renderla vivibile. Invece ci affanniamo a costruire obbrobri a fianco o dentro o al posto di queste meraviglie. A 10 chilometri da qui, anche ora, si sente dire che stanno facendo una discarica. In un parco intercomunale realizzato da poco, il confinante Parco del Roccolo! Siamo troppo ricchi di natura e cultura, abbiamo sperperato il patrimonio e continuiamo a farlo perché non ci rendiamo neppure conto di averlo. Questa è da decenni l’ardua missione dei veri ambientalisti. Oggi si parla di transizione ecologica, suona bene ma prima bisogna prima concretamente difendere la vita stessa (anche se la si definisce “biodiversità” forse per pudore).
Il corridoio ecologico Ticino-Milano
Vanzago resiste egregiamente, protetto dalle sue mura, come un castello assediato ma prospero. Non ha veri corsi d’acqua naturali che lo attraversano ma viene bagnato grazie a canali provenienti dal canale Villoresi, acqua pulita che irriga tutta la campagna unendo Ticino e Adda, mirabile opera idrica che ci sfama tuttora e consente anche ai boschi di prosperare. Vicino ci sono l’autostrada Milano-Torino e Rho, con il delirio di traffico e l’eredità delle edificazioni dovute a Expo, in un’area anch’essa sottratta all’agricoltura già da quasi un secolo. Ma perfino a Rho, a qualche chilometro da qui, c’è una piccola oasi naturale, non cintata ma accessibile, attorno agli ultimi fontanili della zona, appunto il Parco dei Fontanili. Vi si accede scavalcando le carreggiate intasate dell’autostrada o gli svincoli della tangenziale Ovest con vista sulla futuristica ciminiera dell’inceneritore di Figino (oggi chiamato termovalorizzatore, più politically correct). Visitando questo parco si rimane colpiti da come la natura protetta sia rigogliosa e abitata e quella aperta a tutti sia impoverita, anche se in questo parco ci sono ampi prati e molte macchie di alberi. Suggerisco la visita di entrambi i luoghi, separati da solo qualche chilometro, in una stessa giornata, come esperienza di valore scientifico per valutare con immediatezza disarmante l’impatto ambientale dell’antropizzazione. I fontanili conservati sono deliziosi, i prati suggestivi, alcuni alberi maestosi, alcuni animali selvatici si aggirano nascondendosi all’apparire degli umani e dei cani urbani in libera uscita. Ma la tristezza per il superamento dei limiti ecologici, per le plastiche sparse lungo le stradine, per i rumori continui che stringono il cuore soverchia ogni altra considerazione.
L’oasi di Vanzago è un luogo importantissimo proprio perché testimonianza storica unica della natura intatta a due passi da Milano e snodo di un corridoio ecologico fondamentale. È il tratto di collegamento della metropoli con l’unica fascia verde sostanziosa rimasta in tutta la pianura Padana, quella del parco del Ticino. L’oasi è al centro di un’area fra le più industrializzate dell’intera metropoli, quella dei comuni di Rho, Nerviano, Pogliano, Pregnana, Cornaredo e Pero. È sopravvissuta a raffinerie, inceneritori, fabbriche e inquinamenti di ogni genere. È sulla linea dei fontanili, appunto, dove l’acqua di falda riemergeva e riemerge ancora quando si curano questi preziosi alvei. (A Vanzago però l’acqua è più in profondità e non ci sono veri fontanili, e serve una pompa idraulica per alimentare i laghetti quando il Villoresi è in secca).
Il percorso ideale del corridoio ecologico-naturale che corre lungo questo confine geologico-geografico dei fontanili è: Ticino – boschi e prati del parco del Roccolo (comuni di Arluno, Busto Garolfo, Canegrate, Casorezzo, Nerviano e Parabiago) – oasi di Vanzago – parco dei Fontanili di Rho – Boscoincittà – Parco delle Cave e bosco spontaneo dell’ex-Piazza d’Armi a Baggio. Del Parco del Roccolo, di Boscoincittà e del Parco delle Cave parlerò prossimamente, di Piazza d’Armi ho già scritto qui>>>. Da Vanzago verso Milano infatti si incontrano quei pochi boschetti residui a Rho, poi oltre la tangenziale fra Figino e Trenno c’è Boscoincittà, tentativo riuscito di riprodurre il bosco originario. La meraviglia è che il bosco è rinato da sé anche più oltre, a quattro chilometri dal centro, oltre Baggio. E per ora non è ancora stato abbattuto. Insomma, Vanzago è come il tubo che permette di respirare al paziente grave in rianimazione. Conserva semi e humus, aria pulita, alberi e animali per tutta una metropoli che rischia di soffocare.
Uno dei fontanili di Rho
I semi del futuro
L’oasi è anche un segno spirituale importante, non solo un elemento fisico-ecologico. Ci si può immergere in tempi andati e proiettarsi in un futuro possibile. Vi sperimenta l'educazione parentale in contesto naturale con le esperienze "Il bosco magico"; si fa arteterapia ("Se fossi un albero"); si ammirano i fiori ("hanani" in Giapponese significa contemplare in meditazione le fioriture) e si gode il foliage, i colori meravigliosi delle foglie d'autunno. A volte vi si fanno incontri di meditazione, si esplorano le virtù officinali delle piante selvatiche, si fanno visite dedicate volta per volta a lucciole, libellule, rapaci notturni, anfibi (per i quali sono stati realizzati anche piccoli stagni didattici). Si impara a riconoscere le tracce degli animali sul terreno. Si contempla l’essenza della vita allo stato puro.
Nel 1988 invitammo a Milano decine di leader nativi americani per confrontarsi con antropologi ed ecologi sul futuro dell’ambiente e sulla nostra relazione con la natura. Uno dei capi spirituali arrivati a Milano era Wallace Black Elk, nipote del noto Alce Nero del libro di Neihardt, sciamano Lakota-Sioux anch’esso. Un imponente, arzillo e ciarliero quasi ottantenne dall’energia inesauribile. Dopo aver parlato per più di due ore e suonato il tamburo in centro a Milano, Wallace Balck Elk forse non ne poteva più del cemento e della folla. Aveva preso sul serio la sua missione, quella di risvegliarci e farci vedere le cose importanti. Volle a tutti i costi tenere una cerimonia per insegnarci a tenere la Tenda sudatoria, uno dei loro riti sacri comunitari, che si fa per la purificazione e la rinascita interiore. Esausti ma caricati dai tre giorni di convegno, dovemmo trovare in fretta e furia un posto adatto. Per seguire le sue istruzioni dettagliate non potemmo scegliere che Vanzago: servivano rami di salice, serviva un bosco, serviva legna per il fuoco e acqua per raffreddare le pietre arroventate messe nella capanna per fare il vapore per la sauna purificatrice, serviva insomma un luogo naturale appartato dove non comparissero di notte ospiti ignari, motociclisti o auto di camporellisti, vigilantes o disturbatori, dove non ci fossero rumori di sorta, rifiuti e cattivi odori. Per esclusione di ogni altro luogo, pur verde e allettante, in una decina di persone arrivammo quindi alla chetichella all’oasi, concessa per l’occasione quale unico luogo dove si potesse riprodurre una situazione primigenia di silenzi e contemplazione, fra gli alberi e gli animali e con tutti gli approvvigionamenti necessari a una cerimonia di tal fatta. Rituale da tenersi insieme a quelli che sono i nostri antenati ma vivono ancora con noi anche se spesso non li consideriamo più, piante e animali; antenati e al contempo compagni di vita, di cui oggi siamo responsabili per lo strapotere che abbiamo nei loro confronti. Compagni di vita, comprese le rocce, spiegò Alce Nero: il cuore-origine del mondo è “a Rock”, una roccia; e le rocce in effetti per la natura sono quello che per noi è lo scheletro. Fratelli alati o con radici o ali, che c’erano prima di noi, da cui dipendiamo e che vivranno dopo di noi, se ci estingueremo sepolti dal nostro stesso “successo” di specie che assomiglia troppo ormai a parassita e virus del pianeta.
Il vecchio indiano trovò di suo gusto il posto, ci mostrò come costruire la capanna di rami di salice, tenne una breve cerimonia lasciandoci il testimone e incaricandoci di procedere con la purificazione di noi stessi in onore di Madre Terra. Era ormai notte, forse ci guardavano incuriositi gufi e civette, allocchi o barbagianni, tassi, faine e volpi. Chissà che cosa avranno detto fra loro di quella bislacca ma inoffensiva compagnia di bipedi, seduti ad ascoltare un nonno dal grande cappello nero che fumigava salvia selvatica, suonava il tamburo, intrecciava rami e pregava in una lingua mai sentita prima di allora da quelle parti.
Wallace Balck Elk a Milano, 1988
Oasi WWF di Vanzago
Località Tre Campane, Vanzago
Come ci si arriva
In automobile. Percorrere la strada statale del Sempione e dopo circa 20 km da Milano seguire le indicazioni per Vanzago e, dal centro del paese, quelle per il Bosco Wwf.
Con i mezzi pubblici. Passante ferroviario linea S5 da e per Gallarate - Varese per e da Milano. La stazione è quella di Vanzago-Pogliano. Il Passante ferroviario può essere preso a Milano alle seguenti stazioni urbane: Pioltello - Segrate - Porta Vittoria - Dateo - Porta Venezia - Repubblica - Garibaldi - Lancetti - Certosa.
Visite solo guidate sabato e domenica (a volte infrasettimanali)
Tutti le informazioni www.boscowwfdivanzago.it
www.facebook.com/boscowwfdivanzago
Parco dei Fontanili di Rho
Informazioni e localizzazione: http://bit.ly/3e55es8