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I cigni sul Lambro

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

I cigni sul Lambro

L’area naturalistica dell’Ansa del Lambro, a Ponte Lambro (Milano) è la rinascita di una zona degradata grazie al Comune e agli ambientalisti. Dopo l’abbattimento di un ecomostro ora c’è un parco, sono stati ripuliti i fontanili, sono arrivati animali selvatici e uccelli rari. Questo avviene lungo le sponde del fiume Lambro, in passato sinonimo di inquinamento e anche oggi poco tutelato e sempre a rischio. Ma è un fiume ancora vivo, che può riservare sorprese. 

Povero Lambro. Sarebbe anche un bel fiume, come tutta la Lombardia e il suo cielo, così belli… ai tempi del Manzoni, e ora? Il Lambro ha la sua sorgente  fra rocce circondate da abeti e larici in un luogo idilliaco nel Triangolo lariano, presso Pian Rancio a Magreglio, meta di narcisate nel dopoguerra: i milanesi risorti dal conflitto presero a sciamare verso i rilievi per ristorarsi e andavano a cogliere fiori e respirare aria buona. Tanto che oggi di narcisi non se ne trovano più. Appena dopo la mitica Madonna del Ghisallo, punto tappa dei ciclisti prima della discesa verso il lago, si trova questo miracolo che dai quasi mille metri d’altitudine della sorgente nel giro di pochi chilometri scarliga nell’industriosa e tossica pianura. Percorre e nutre tutta la Brianza, che produce, sbuffa, ringhia, sgomma e scarica veleni nell’acqua.

 La sorgente del Lambro a Piano Rancio, Magreglio

La Brianza sta sopra Milano, è il cappello della metropoli, anzi è una sua estensione informe, un formicaio umano. Se la guardiamo dall’alto e la confrontiamo con altre zone del mondo, non ha quasi uguali, se non la Ruhr e le nuove conurbazioni dell’ex-Terzo mondo. Dalle ridenti zone prealpine, dalle dolci rive dei laghi a Nord, dai bordi della metropoli milanese a Sud, s’è espanso il costruito lungo tutta la fascia pedemontana ai bordi della pianura. Un addensamento che ha figliato impregnando di sé i dintorni, Bergamo e Brescia via via fino al Veneto e con derivazioni sostanziose nell’Emilia-Romagna. Puro horror vacui. È il catalogo illustrato dell’antropocene, l’era dominata dall’artificiale. 

E pensare che la Brianza era un tempo, ed è ancora in piccola parte nelle propaggini più settentrionali, un amenissimo luogo. I milanesi villeggiavano e i villici coltivavano. Poi iniziarono i grandi disboscamenti e l’industrializzazione  e la Brianza tutta si mise a operare, fabbricando mobili per tutto l’universo e poi ogni altra cosa costruibile. Mio nonno era un falegname di questi, sceso poi giù giù fino ai confini della città; e mio padre quei mobili li vendeva, percorrendo in lungo e in largo in automobile tutte le provincie e le regioni confinanti. La capitale mondiale dell’arredamento oggi rinomata per il Salone divenuto trendy è in realtà solo il terminale cittadino della Brianza, dove sciamavano i tronchi abbattuti più in alto per diventare i ripiani, gli scaffali, i letti, le credenze, gli armadi, gli utensili prima che arrivassero la formica, il compensato, la plastica e l’Ikea. Nei mille e mille capannoni e fabbrichette che furono presto affiancate da fabbriche ben più imponenti e pericolose, basta dire il nome Seveso per chi ricorda. Vittime sacrificali di tutto ciò, la natura, fiumi compresi, che raccolsero tutti gli scarti di questo glorioso e forsennato operare, e vittime gli abitanti stessi, chiusi nelle loro attività e compressi nell’urbanizzazione selvaggia.

Se guardate verso il nord intravvedete, quando avviene il raro Miracolo dello Spostamento d’Aria, montagne quasi completamente svuotate di vita autonoma e parassitate dalle propaggini della crosta tecnologica. Quella tecnosfera imperante che lambisce le sponde dei laghi e s’infrange solo sui rilievi, troppo ripidi per essere presi, pendii ostinatamente naturali che ne frenano il proliferare in virtù della propria invincibile elevazione. Se salite su quei primi rilievi, vedete tutto questo dall’alto, e stupite. Oggi, avete anche il vantaggio di geolocalizzare subito la Terra di Mezzo da quasi centro chilometri di distanza: fin dai rilievi del Lago Maggiore o dai rialzi verso Como, Erba e Lecco, Mediolanum appare in mezzo a tale groviglio grazie agli aculei dei grattacieli.

Un fiume in rianimazione

Dicevo, il Lambro. Il fiume. 130 chilometri dalla sorgente al Po. Da non confondere, parlo ai milanesi, con l’omonimo Lambro Merdario, ancor più dedito alla raccolta degli escrementi: quest’ultimo, nonostante l’omonimia, è solo un canale colatore derivato dall’Olona e dalle acque di naviglio, che scorre sottoterra e si ricongiunge al Lambro vero e proprio più a Sud, a Sant’Angelo Lodigiano. Il Lambro vero, dunque, attraversa la Brianza in uno stage di survival estremo. Non ha la fortuna del fratello Ticino, più appartato e lontano dalla città, a occidente, che è rimasto più selvaggio, è oggi l’ultimo fiume relativamente pulito e libero di esondare e irrigare, l’unico corridoio verde alle Alpi al Po in tutta la pianura Padana. Il Lambro non ha avuto neanche la sorte degli altri due fiumi di Milano, il Seveso e l’Olona, entrambi quasi interamente occultati sottoterra in città (salvo esondazioni del primo). Il Lambro no, la sua sorte per motivi geografici è stata quella di rimanere all’aperto ma affrontando in una lotta impari la Grande Conurbazione. Sbuca dal coacervo brianzolo strisciando come un soldato in esercitazione a terra, sempre più ansimante, passando anche per un Parco regionale ad esso dedicato che salva qualche angolo ameno che testimonia la bellezza che esiste ancora qua e là. Attraversa Monza e Sesto San Giovanni esausto e pesto, per lambire la metropoli a Est. Qui sulla carta c'è un altro parco, quello della Media Valle del Lambro. In ogni caso, il fiume è stretto sempre più da nodi scorsoi: fabbriche (ora molte dimesse in realtà), tangenziali, ferrovie, hub della logistica, arcani impianti e ogni altra cosa immaginabile dalla mente produttiva, giù giù fino all’aeroporto di Linate e oltre.

Reietto quanto significativo, il più grande fiume che tocca la metropoli diede il nome alla mitica Lambretta ma anche a un parco creato negli anni Trenta, distrutto nella guerra e ricostruito negli anni Cinquanta, tristemente noto negli anni Settanta per spaccio e degrado, oggi sede dell’Exodus del prete di strada e oltre la tangenziale dell’antica e benemerita Cascina Biblioteca, centro dedito alla socialità e solidarietà. Anche un quartiere milanese ha il suo nome. Anzi, due quartieri, come vedremo più avanti.

Il corso d’acqua ogni tanto alluviona l’omonimo parco e i dintorni: un tempo ai fiumi si lasciava spazio, oggi sono un fastidio e messi alle strette, si ribellano e vengono accusati di nefandezze perché fanno il loro mestiere. Proseguendo nel suo tormentato andare, il Lambro tocca il parco Forlanini, altro parco urbano che dovrebbe essere riqualificato e ampliato, passando di fianco a fabbriche dismesse e gasometri fantasma ma anche al nuovo canile municipale modello e alla storica cascina Sant’Ambrogio, oggi sede di molte iniziative con l’associazione Cascinet. Poi s’immerge sotto allo stradun che portava all’idroscalo a fianco dell’aeroporto e ricompare a Monluè, borgo milanese un tempo agreste e oggi sovrastato dalla tangenziale, dove c’è una bellissima abbazia degli Umiliati con cascina annessa e uno spicchio di verde lungo le sponde. Da qui il Lambro sbuca infine a Ponte Lambro.

Ci sono buone intenzioni di riportare il Lambro a un minimo di decoro e di rinaturalizzarlo, perché lungo le sue sponde qua e là lambisce i parchi residui, anche se le sue sponde hanno perso ormai vegetazione e quindi fauna e microfauna. Si potrebbe rianimarlo, farne un asse naturale che attutisca l’impatto delle mille attività umane che lo costellano. Il WWF se ne occupa da molto: propone di rinaturalizzarlo. In un documento del 2002 spiega: "La rinaturazione, è intesa come l’insieme degli interventi e delle azioni atte a ripristinare le caratteristiche ambientali e la funzionalità ecologica di un ecosistema in relazione alle sue condizioni potenziali, determinate dalla sua ubicazione geografica, dal clima, dalle caratteristiche geologiche e geomorfologiche del sito e dalla sua storia naturale pregressa". Se ne parlò nel Piano di Governo del Territorio di Milano nel 2012; il fiume venne “premiato” sulla carta con il Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS) della Media Valle del Lambro, nel 2016. E la Rete Ecologia Regionale (RER) prevede la realizzazione di un corridoio primario lungo il corso del fiume per il suo ruolo “di connessione di valenza naturalistica sia tra parchi milanesi sia tra i parchi territoriali lombardi limitrofi, i parchi regionali Valle Lambro, Nord e Sud Milano e altri PLIS di interesse sovracomunale tra cui l’istituendo PLIS Martesana.”. Belle parole, speriamo. Qualcosa si muove, soprattutto per iniziativa di associazioni, come vedremo, ma anche le istituzioni hanno fatto qualcosa, pur con i loro limiti ormai cronici. 

Il borgo dei lavandai

Siamo arrivati dunque a Ponte Lambro. Ora è nel Comune di Milano ma un tempo era un borgo di lavandai, estinti all’arrivo delle lavatrici domestiche. Un paesino piano piano anch’esso strangolato dal cemento; divenuto  anch’esso come il fiume sinonimo di incuria, abbandono e degrado, oberato pure da un ecomostro, improbabile albergo abusivo superperiferico all’estremo opposto della città rispetto allo stadio per i campionati del mondo di calcio del 1990: San Siro era a Ovest, qui forse pensavano di sbarcare dall’aeroporto vicino frotte di hooligans appena tradotti dai charter per tenerli lontani dal centro, non si sa. Le vie del calcestruzzo sono infinite.

Per chi passava dalla tangenziale, quel metafisico rudere dechirichiano a fianco della stalla vista svincolo che sorprende i passanti è stato per anni uno spettacolo mirabolante, un’ipnotica apparizione che distraeva dalla guida durante le epiche code in auto fra San Donato e Carugate. Quasi non ci si è creduto, quando il manufatto è stato giustamente fatto crollare con l’idea di farci un parco. Ora un piccolo parco c’è, di fronte alle case di uno dei quartieri più remoti della città.

 L'asta del fontanile a Ponte Lambro, ovvero il Canale dei Certosini che nasce dalla "testa" del fontanile (dove emerge l'acqua risorgiva, grazie a scavi o naturalmente). 

Quando si cercano tracce di verde in città e si arriva qui, ci si aggira cauti e dubbiosi, noi Marcovaldi meneghini, dopo aver consultato le carte che indicano “riserva naturale dell’ansa del Lambro”. Proprio davanti a quel complesso urbanistico malfamato, in via Vittorini, però, compare un piccolo angolo della campagna che fu. Il canale dei Certosini è stato ripulito dai volontari e l’acqua è coperta dalla lenticchia d’acqua, la leggiadra piantina che galleggia in superficie. Ma davvero ci sono le teste dei fontanili da cui zampilla acqua pulita, davvero qui si coltivano piselli biologici? Quel terrapieno che cosa nasconde? Forse il fiume, colpevole di esondare periodicamente? Sì, è così. Compare il fiume, nonostante la vista di fabbriche misteriose, l’andirivieni degli aerei che decollano dall’aeroporto a breve distanza, gli scavi rumoreggianti sull’altra sponda a far da cornice a un paesaggio in via di “rinaturalizzazione”. Già. Qui prosperavano fabbriche di aerei ed armi, pare, che ci misero del loro per aggiungere schifo all’acqua del derelitto Lambro e delle rogge.

Il Bosco dei certosini e l’agricoltura biologica

Mi aggiro ancora con circospezione, ma in buona compagnia: il falco gira in perlustrazione, il fagiano tenta prudente l’attraversamento del campo, l’airone sta impalato come un attaccapanni a puntare qualche preda, qualche nutria sfanga via nella sua tana. So bene che è malfamata, ma questo castorino fa anche simpatia se si supera la prima repulsione: alla fin fine non è colpa sua se fu deportata dall’America meridionale per farne pellicce e poi sfuggì alla sorte rinselvatichendo; ora mette in pericolo le sponde delle rogge dove scava le sue tane. C’è perfino la lieta sorpresa di una piantumazione di centinaia di alberelli fatta, scoprirò poi, con la direzione di uno dei misconosciuti, storici ed eroici naturalisti di Milano che già lavorò all’Oasi di Lacchiarella quando era un biotopo di importanza europea e ha documentato la natura con fotografie meravigliose.

Dell’intera area si è occupato il WWF locale per conto del Comune. Il WWF già da tempo aveva proposto una serie di azioni per rinaturalizzare il Lambro. Fra i progetti approvati e finanziati dalla Regione Lombardia (“Contratti di fiume”) c’è questo coincidente con l’abbattimento dell’ecomostro e con la trasformazione dell’area, e ce n’è un altro sulle successive aree con altre anse del Lambro nel territorio del comune di San Donato, più a Sud. Dal 2012 dunque si lavora a fare questo parco periferico, nel quale c’è una zona attrezzata per il quartiere, una agricola con coltivazione riconvertita al biologico e un bosco, detto Bosco dei certosini per l’appartenenza storica del terreno a quell’ordine monastico. Il Comune ha ricevuto il finanziamento dalla Regione e fatto progettare la zona al WWF, che ha incaricato successivamente  il noto naturalista per la realizzazione. Il terreno è di 34 ettari, un terzo del quale di un agricoltore, il resto del Comune. Sono state riattivate anche le aste dei fontanili, ovvero ha ripreso a scorrere l’acqua ridando vita ai corsi d’acqua, rogge e canaletti che un tempo irrigavano i campi.

Sono state messe a dimora circa 1500 piante autoctone. L’area del bosco è di circa quattro ettari. Vi sono state messe piante da semi certificati, come le ghiande per le querce, coltivate al vivaio Pro Natura presso Rocca Brivio; altre sono piante “a effetto immediato”, ovvero dalla crescita più veloce, come pioppi neri e salici forniti dall’Istituto di pioppicultura di Casale Monferrato che è anche intervenuto direttamente. Questi “pionieri” hanno il compito di trainare il bosco, di crescere in fretta e lasciare poi spazio al bosco classico spontaneo di querce e carpini tipico della pianura lombarda che cresce più lentamente. Il lavoro è stato svolto da una piccola ditta di giardinaggio con la partecipazione anche di una piccola  organizzazione che per il Comune fece lavorare immigrati. Subito dopo sono state messe a dimora le altre piante più piccole ma di valenza superiore, i carpini e le querce (farnie), i frassini, poi gli arbusti tipici del sottobosco, come evonimo, biancospino, lantana, piante tipiche anch’esse, anche con l’intento di attirare gli insetti e gli uccelli che si nutrono delle bacche. Prima era stato preparato il terreno, che era brullo e spoglio: è stato girato, dissodato, macinato e reso adatto alla piantumazione. Infatti in genere il problema con le aree verdi a Milano deriva dal fatto che quasi tutto il terreno è di riporto, pieno di macerie (fin da quelle di epoca romana), e sotto ad esso c’è sedimento di origine  morenica. Non è terreno di campagna, lavorato da tempo, che favorisce la crescita degli alberi. Spesso le radici degli alberi stanno fra sassi, ghiaia e pietre e stentano. Purtroppo qui la manutenzione è ancora scarsa e fatta male, per via di contratti fatti in modo poco appropriato: gli alberi andrebbero bagnati molto più spesso e l’erba tagliata attorno ad essi per aiutarli a crescere. Il bosco, se curato bene, sarebbe promettente anche per ospitare la fauna selvatica: già oggi ci sono uccelli anche rari come il piro piro piccolo e il piro piro culbianco; ci sono molte garzette, aironi guardabuoi, anatre e germani reali, alzavole, nitticore e aironi cenerini; attorno al fontanile, anche il rigogolo e il picchio verde, che si distingue nella sua famiglia perché canta tutto l’anno. Sarebbe bene estendere il bosco per proteggere maggiormente questa fauna sorprendente, dice il progettista naturalista.

Le altre oasi lungo il Lambro

La tangenziale rumoreggia rassicurando sul fatto che non ci troviamo lontano dalla civiltà, nonostante il senso di ignoto che ci pervade. Conforta sapere che il fiume riappare arrivando da un altro angoletto di verde superstite a Monluè; apre il cuore sapere che poi il fiume prosegue oltre e dà altri segni di vita: c’è un’altra piccola, bellissima oasi del WWF quasi sempre chiusa al pubblico (per tutelarla), come tutte le oasi, la Levadina, appena sotto all’aeroporto: ne parlerò in un altro articolo. Altri segni di natura ci sono, andando in giù, in direzione della Bassa, verso Melegnano (le anse del Lambro a San Donato, le oasi urbane di San Giuliano Milanese, l’area boscata presso la Cascina Santa Brera, dove si pratica la permacultura, il vivaio Pro Natura di Rocca Brivio, le oasi di Melegnano, Montorfano e delle Noci: anche di questi parlerò in un prossimo aritcolo). Il Lambro è pesto e malridotto, insomma, ma è ancora vivo.

Torniamo però qui a Ponte Lambro. Arrivo infine al fiume: scorre fra massi squadrati che gli fanno da argine, s’insinua fra i manufatti fabbricosi di cui sopra e s’allarga in un’ansa, appunto. Salgo la scarpata che fa da argine per vedere cosa c’è, ed ecco l’altra sorpresa.

Ecco dove si nascondono, volevo ben dire. Devono pur esserci anche da queste parti. Con tutti i laghetti che ci sono qui intorno, però, se ne vedono pochi mentre in altre zone di Milano ormai sono presenti, nel laghetto del Parco Nord a Niguarda, al Parco delle Cave... E qui nel Sud-Est? Non li avevo ancora visti, ecco dove sono. I cigni. Diffidano dagli ampi specchi d’acqua limitrofi, troppo frequentati dagli umani; non amano l’Idroscalo dove la domenica imperano le grigliate e le bisbocce, dove girano canoe e surfisti meccanizzati ululanti con musica a tutto volume di sottofondo; disdegnano il dignitoso laghetto del parco Forlanini e lo lasciano alle decorative paperette. Eccoli qui, in quest’acqua sospetta, sono proprio sono tanti. Solenni e silenziosi, serafici e tranquilli, tuffano il collo e s’immergono per metà, veleggiano aggraziati. Che ne sanno loro, di cosa c’è nell’acqua su cui galleggiano  e immergono il collo? Però. Magari ne sanno più di quello che possiamo sospettare. Qualcosa salta impetuoso dall’acqua e si inabissa immediatamente, un pesce! È molto grosso, non riesco a capire quale sia. Il naturalista mi racconterà poi che i pesci che ho visto sono carpe, che resistono bene anche all’acqua sporca, e che sono arrivati sul Lambro anche i pesci siluro (che però sono un poco molesti poiché invasori, soppiantano altre specie). Tuttavia l’acqua sembra si stia schiarendo e dovrebbero arrivare altri pesci che amano le acque melmose, come i pesci gatto (nell’ansa del fiume l’acqua rallenta il suo scorrere e si crea un microambiente propizio). Insomma, se si continuasse così, potenziando e moltiplicando i depuratori (che in alcuni punti del fiume sono stati introdotti) e controllando che non si sversino schifezze come purtroppo a volte avviene, stai a vedere che il Lambro… 

Area naturalistica Ansa del Lambro

Come ci si arriva

Con i mezzi e a piedi: da piazza Duomo, tram 27 fino a Viale Ungheria, poi autobus 175 (via Vittorini – via Ucelli di Nemi)

In auto: tangenziale Est Milano, uscita Mecenate, direzione Ponte Lambro

Apertura

Sempre aperto. Accesso dal Parco Vittorini, via Vittorini (di fronte al centro cardiologico Monzino)

A chi rivolgersi per visite

WWF Sud Milano-Martesana, 333 9584890, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Per approfondire le proposte tecniche di rinaturazione del Lambro da Milano a Melegnano si può consultare il documento curato fra l'altro dal responsabile nazionale del WWF per i fiumi e corsi d'acqua, Andrea Agapito Ludovici (è del 2002 ma sempre attuale e interessante; in parte ha orientato alcuni interventi, e in futuro dovrebbe farlo sempre più): https://wwfit.awsassets.panda.org/downloads/lambromilanomelegnano.pdf