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LO SPECCHIO-SEME

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LO SPECCHIO-SEME.

Incidere lo specchio nella Caverna di Lorenzo Ostuni.

Sono tornato nella Caverna di Platone, il luogo in cui Lorenzo Ostuni per decenni ha inciso i suoi specchi simbolici e lavorato ai suoi sistemi divinatori e oracolari, intessendo una rete luminosa per riportare in vita le antiche Sibille. Entrare nella caverna è essere di nuovo nel grembo della terra, rinascere ancora un volta; si rinasce continuamente ma alcune volte la vita ce lo fa celebrare in una cerimonia sacra.

Sabato 31 gennaio a Roma l’associazione che ha preso il nome dalla Caverna ha proposto un seminario sull’incisione degli specchi: un lavoro artistico, terapeutico e spirituale al tempo stesso, ideato e condotto da Ostuni; un lavoro unico al mondo che ha messo radici e continua. Nell’incidere uno specchio, come insegnava  Ostuni, si vede se stessi e allo stesso tempo si trasforma il mondo. Ciò che appare sullo specchio è contemporaneamente il proprio volto fisico e la propria immagine interiore: è una magia che cura la vita. L’unico modo per riconoscere se stessi, in questo mondo fisico, è vedersi riflessi in uno specchio, oltre che negli occhi degli altri o sull’acqua.

Il Lorenzo Ostuni fisico è scomparso da questa terra da poco più di un anno. È stata una persona di quelle che hanno occhi limpidi nei quali ci si può riconoscere, che si espandono oltre il proprio sé individuale, nutrendo altri, condividendo la propria avventura interiore e aprendo porte di conoscenza e comprensione. Continua a vivere nelle sue opere, nelle persone della sua famiglia e in tutti quelli che sono stati con lui, anche brevemente, e ne hanno potuto gustare le parole, le immagini, le opere, le affabulazioni, i racconti, le intuizioni e gli innumerevoli doni.

Così mi sono trovato, per amore di quest’uomo così vasto, a partecipare. Del resto è grazie anche a lui che incontrai me stesso in molte esperienze potenti quanto semplici, fra cui in un incredibile incontro nel quale siamo stati partoriti, cullati dalle mani e dai cuori di tanti altri, in una piscina, accompagnati in una rinascita intensa, uscendo poi dall’acqua-utero e trovandoci davanti noi stessi in uno specchio. Grazie anche a lui cominciai a riconoscere nelle mie visioni nei miei dipinti dei mezzi per condividere ciò che ho scoperto e ricevuto in tanti anni di ricerca. Non mi insegnò direttamente nulla in modo esplicito: un maestro non ne ha bisogno. Gli basta esistere.

Da ragazzo scrissi che senso e scopo della vita è “la ricerca di se stessi nel mondo”. Il mondo ci fa da specchio: ciò è là fuori è dentro di noi, ciò che è dentro è fuori. Lo specchio è la magia umana che più si avvicina al divino, o meglio lo rappresenta in modo più chiaro e lineare. Il divino è coscienza di sé come parte del tutto; l’esperienza del divino è indefinibile e indescrivibile e incommensurabile, ma si può almeno dire che ha in sé anche la percezione dell’appartenenza al Tutto, la consapevolezza di ciò che ci collega al Tutto. Gli sciamani Huicholes del Messico dicono che noi esseri umani diventiamo “specchi degli Dèi” quando celebriamo; gli antichi oracoli ci esortavano a conoscere noi stessi. Abbiamo chiamato “neuroni-specchio” quelli che si attivano per risonanza quando semplicemente assistiamo a qualche evento e vi reagiamo sentendo in noi stessi ciò che provano gli altri (emozioni, sentimenti, intenzioni…): gli specchi di Lorenzo Ostuni hanno trasformato la vita di tante persone, facendo provare ciò che è empatia. Sono un’opera che emoziona e porta oltre i limiti; lui “usava” gli specchi come strumento di guarigione e di crescita; lui era “usato” come strumento della coscienza.

Dunque, due sue “allieve” propongono di imparare e provare a incidere gli specchi. Un’opera del genere, dice Roberta Sisti, dev’essere a disposizione di tutti; racconta che quando scoprì su Internet gli specchi di Ostuni volle provare a incidere, senza bene sapere perché: volle incontrarlo e lui semplicemente le disse: “Se sarà una cosa per te, sarà”. L’altra, Elena Morizio, invece iniziò a incidere con Lorenzo: seguiva già il suo Biodramma, una pratica terapeutica e sacra che porta attraverso un percorso simbolico in cui si contattano le eterne fasi-divinità di Bios, Eros e Thanatos; ora Elena e Roberta incidono gli specchi e continuano a modo loro questa avventura.

Al seminario ci sono anche come organizzatori-promotori la figlia di Lorenzo, Angelica, ed Eldo Stellucci, psicoterapeuta, amico e confidente di Lorenzo, che insieme ad altri ne curano l’eredità culturale attraverso l’associazione.

Sono in un momento particolare della mia vita e incidere un “mio” specchio è quanto di meglio potrebbe accadermi ora. Di recente sono morti entrambi i miei genitori, in questi ultimi anni ho attraversato con loro territori sconosciuti in cui li sto ancora accompagnando prima che si dissolvano ritornando da dove veniamo tutti. Accompagnarli in questo viaggio è stato, ed è ancora, un ribaltamento e un rimescolamento totale, nel quale sono riemerse cose antiche, sono andate in pezzi certezze, si sono delineate prospettive mai viste. Il senso di identità costruitosi nel tempo è andato in frantumi e si è trasformato a contatto con la grande Aquila scura dai bordi dorati e piena di stelle che ha ghermito e portato in volo le mie radici, i corpi da cui nacquero le mie cellule e i miei respiri, mostrandomi quello che succederà anche a me e a tutti, dandomi un appuntamento indefinito ma certo e spingendomi a vivere la vita di adesso in un modo più ampio, amorevole ed essenziale.

Nello specchio vedrò quello che sono ora.

L’emozione è grande e forte. Anche Lorenzo se n’è andato da poco ma continua a guardarci e a guidarci. Ora non è più nella caverna ma la caverna è dentro di lui, che non ha più confini fisici.  

C’è un timore: fare il primo puntino, lasciare la prima traccia sullo specchio. Roberta mi lascia solo, mi sprona a iniziare senza altra guida che l’immagine che mi nasce dentro guardandomi. Racconta la paura che la bloccò per oltre dieci minuti, la prima volta che si trovò davanti allo specchio con l’incisore in mano, per poi svanire. 

Fermandomi davanti allo specchio rotondo mi vedo più vecchio; sono adulto e posso sentire meglio il me stesso bambino che ha sempre voglia e bisogno di giocare per esplorare il mondo.   Fisicamente non cresco più da tempo, l’ego che ha guidato la danza dell’affermazione e degli impegni e delle realizzazioni ora si guarda senza fretta, aspetta con calma; è lo spirito a premere per allargarsi ai nuovi orizzonti che ora fanno irruzione nella vita di tutti i giorni.

Ho già in mano l’incisore, ho poggiato lo specchio sul tavolo, aspetto che si muova l’anima e che prenda forma l’immagine, che sgorghi un gesto. È una prova, un inizio: ogni attimo è un inizio ma questo è un attimo più denso e speciale.

Dipingo e disegno da sempre ma non avevo mai inciso. La paura residua di fare il primo puntino si rivela come la paura di incidere me stesso per l’eternità. In questa caverna, racconta Eldo, gli è comparso un simbolo sconosciuto che poi venne decifrato come simbolo cinese dell’eternità. Tutto il lavoro di Ostuni è stato quello di chi va oltre la propria persona per inscriversi nel tutto, che è oltre quello che chiamiamo tempo, per riunirsi con la verità che è al di là del tempo. Incidere se stessi nel mondo, al contrario di quello può sembrare, non è un atto dettato dall’ego. È il Sé più vasto che entra in gioco. È abbandonarsi. Può far paura lasciare che il proprio corpo, la propria anima, le mani diventino un canale aperto lungo il quale fluisce la corrente. Cosa può succedere lasciando il controllo?

Arriva il primo puntino. Arrivano tanti puntini e linee. L’incisore ormai va da solo, la mano lo sorregge e lo segue, come segue il pennello quando dipingo, come segue il tamburo quando suono.

Si delinea un seme.

Un po’ me lo aspettavo ma non era intenzionale. Non sapevo cosa avrei “fatto”, o meglio ricevuto. Questo momento è un seme, in questo momento sono un seme. In questo periodo l’immagine del seme mi appare e mi torna spesso nei disegni, nei sogni, in ciò che faccio. L’immagine segnala una condizione. Sta germinando qualcosa di nuovo e allo stesso tempo di antico, che si ripete continuamente: la vita perpetua se stessa facendosi piccola, rientrando nella terra e nel buio, morendo per rinascere e tornare verso la luce come fa il seme, dirigendosi contemporaneamente verso l’alto e verso il basso, radicandosi e slanciandosi.

Sto rinascendo: mi sono specchiato in quella rinascita che chiamiamo morte e muoio a me stesso per rinascere in amore.

In poche ore lo specchio è inciso, si incide da sé. Come racconta Elena, incidendo si va in trance: si passa in altre sfere e ciò che arriva va bene comunque. Non c’è giudizio: il giudizio è umano, qui siamo oltre. Roberta aveva detto che incidendo dopo un po’ non ci si guarda più: la concentrazione è sul gesto, su ciò che accade. Mi rendo conto che è proprio così: non mi sono guardato, l’immagine di me è entrata nel mondo, mi sono visto. Mi sono attraversato e sono sfociato nel gesto. Quando lo specchio è finito, e le linee che emergono dal seme hanno riempito tutto lo spazio rotondo, Eldo mi dice: “hai visto chi sei?”.     

Ora questo specchio sarà condiviso. Già in questo incontro è successo: sono nati nuovi rapporti. L’energia dell’immagine diventerà un polo del campo che si creerà con chi la vedrà. E si vedrà.  

Grazie.