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La garzetta nel Parco delle risaie

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

La garzetta nel Parco delle risaie

Di selvatico in senso stretto c’è poco, al Parco delle risaie. Cascine e risaie, appunto. Ma qualcosa di naturale c’è: qualche roggia lungo le cui sponde si affollano i pochi alberelli e la poca vegetazione, gli aironi e gli altri uccelli, forse qualche animaletto, qualche prato lasciato incolto, qualche rudere di cascina. Ci sono invece alcune corti attive con mucche e produzione agricola e agriturismo annesso. Ma è da vedere, questo parco, perché è uno dei pochi punti della metropoli da cui si può vedere la città dal di fuori e da vicino. E dove si può vedere sé stessi.

Siamo vicino al Giambellino e alla Barona, due classici quartieri periferici, ai confini con Buccinasco e Assago. Qui si può stare su quel bordo da cui si comprende come tutta la crosta artificiale, la tecnosfera, ha un forte impatto sulla terra. Si vedono i palazzi da lontano, si studiano le forme sghembe di palazzoni storti lungo l’inizio dell’autostrada verso Genova (forse stanchi di progettare, esausti dall’essere sempre sul chi va là, gli architetti ultimamente si accasciano e gli edifici s’ammosciano, penzolano a destra e sinistra, come in un racconto illustrato di Buzzati in cui “anche Dio era stanco”). Le linee rette, si sa, esistono solo nella nostra mente, non in natura se non in qualche roccia frantumata, ma durano (relativamente ai tempi geologici) poco. I mondi, i corpi celesti, tutto in natura è tondo o curvo. Per distinguerci dalla natura abbiamo prima di tutto perso la curva. Siamo un po’ tutti, oggi, come gli alberi del pittore astrattista Mondrian: dapprima raffigurati quasi in modo realistico e natrualistico, poi via via ridotti a linee e colori puri, astrazione appunto. Ecco, qui lo si vede bene, da lontano, come in un museo all’aria aperta. Da una parte le pianticelle, le acque, il fango, le stradine storte in terra battuta, gente che lavora con le mani; appena più in là le suggestioni tardosovietiche e cubiste dei palazzi di periferia, eretti in fretta, prefabbricati altrove per inscatolare immigrati e soggetti espulsi dal centro, gli uffici geometrici dove lavoriamo stando seduti e guardando schermi impilati gli uni sugli altri, le strade dritte e potenti che menano verso l’esterno; tutti non-luoghi dove stiamo isolati e lontani dal mondo reale originario, dove passiamo velocemente senza vedere più nulla, senza capire i ritmi lenti.

La landa delle zanzare

In questo luogo si svela anche un altro dei segreti di Pulcinella della città. Si scopre dove nascono i nostri veri nemici naturali, le maledette zanzare che infestano le notti estive: nell’acqua, che qui abbonda in quella stagione. Mi raccontò il funzionario comunale preposto alle disinfestazioni che nessuno, fra i responsabili apicali e gli assessoroni del Comune, sapeva che a Milano esistessero le risaie. Dovette fare il diavolo a quattro, lui di origine campagnola, per far loro capire dalle mappe che anche la parte non edificata esiste e fa parte della città, che ci si coltiva, e per attivare la disinfestazione nelle risaie. Oggi si fa con gli elicotteri, qui e nelle poche altre aree milanesi dove resiste la coltura che si fa con abbondante acqua nei campi. Ce ne sono soprattutto a Trenno, di fianco al Boscoincittà e al parco di Trenno, e in pochi altri punti fra cui Muggiano. Nelle risaie l’acqua pullula di larve agli inizi dell’estate; ma grazie alla disinfestazione sono meno numerose le malefiche bestie che altrimenti sciamerebbero assetate di sangue e attirate dalle luci accese di sera. Per fortuna, infatti, alla fine i dirigenti diedero ascolto al testardo funzionario e l’impatto dei rognosi insetti fu mitigato. Pochi sanno di questa storia che ci riguarda tutti da vicino e stendo un velo pietoso sui dettagli. Feci un giro da ospite sull’elicottero per la disinfestazione, qui su questi campi. La pilotessa del velivolo saliva, planava e spargeva i suoi prodotti, biocompatibili per l’accortezza dei responsabili (altrimenti ce li saremmo mangiati con il riso, i disinfestanti, e se li sarebbero mangiati anche rane, pesciolini e li altri abitanti e commensali della zona che di essi si nutrono). Le risaie allagate s’avvicinavano e allontanavano dalla mia vista e così potei vedere bene dall’alto tutto questo strano angolo della metropoli, pura campagna incuneata fra la tangenziale e la periferia. Dopo l’escursione volante andammo alla cascina Battivacco, dove si fa il riso, a chiacchierare con il responsabile, e per finire andammo a mangiare non ricordo cosa alla trattoria nascosta lì vicino, all’angolo di due stradine, dove fanno piatti a base di riso, polenta, asino, brasato, ossibuchi, bolliti e altre cose squisitamente campagnole o meneghine d’un tempo. Se si cerca qualcosa di diverso dalle solite cucine fusion del centro, va bene. Pareva di stare in uno di quei luoghi ancora non scoperti dai camionisti perché lungo stradine dove i Tir non possono passare, in un paesetto qualsiasi della Bassa. Ma i palazzoni all’orizzonte appena usciti dalla trattoria ci riportarono subito alla realtà: siamo in un angoletto di campagna a qualche centinaio di metri dalla popolosa Barona, uno dei classici quartieri-dormitorio, come si diceva un tempo. In una sorta di piccola mesopotamia posta fra i due navigli, il Grande e il Pavese, cosa che ovviamente favorisce l’abbondanza d’acqua, del resto presa anche dalle risorgive e ben distribuita lungo le rogge e i canaletti.

Nel parco non ci sono panchine, bar, luoghi di ritrovo né altro del genere. È proprio un museo vivente dell’agricoltura; non quella delicata e più scenografica del Ticinello, l’altro angolo agreste che s’insinua in città, con le sue marcite e i filari di pioppi. No, la campagna nuda e spoglia, quasi completamente priva di alberi, boschetti e siepi. Ci sono stradine dove se due auto si incontrano devono fermarsi, retrocedere, trovare una piazzola, attendere, salutarsi e ringraziare proprio come nella campagna vera; ci si aspetta di incrociare qualcuno alla guida con il cappello che va a 20 all’ora, prototipo del campagnolo al volante che tanto infastidisce gli scattanti milanesi appena sconfinano lungo le provinciali verso sud.

Nei campi i trattori arano seguiti dalle garzette, i piccoli cugini bianchi degli aironi. Sono in agguato pronti a beccare i malcapitati vermi tranciati a metà che affiorano dalla terra rivoltata dalle lame, quando non hanno l’acqua a disposizione per pescare a modo loro girini e rane, pesciolini e invertebrati, larve di libellula. La garzetta è un cugino più piccolo dell’airone e non va confusa con l’airone bianco, che è leggermente più grande e massiccio. Abbastanza comune ormai come l’airone (per la minore distribuzione di pesticidi nei campi e per la rarefazione della caccia di frodo), la garzetta è bellissima ed elegante con il suo candore quasi assoluto (solo il becco nero e le zampe non sono bianchi), con la sua crestina di piume sul capo, le altre piume allungate sul petto e il collo delicato che s’incurva a esse quando vola e si muove. Migratrice (in Africa) ma anche nidificante da noi: il 40% delle garzette che nidificano in Italia lo fanno nell’area delle risaie fra Piemonte e Lombardia (Novarese e Vercellese, Milanese e Pavese), la “Bassa” come si dice di questa parte della pianura contrapposta evidentemente all’alta, quella sopra la linea dei fontanili, direzione colli e Brianza. A Milano, qui, siamo già nella “bassa”.

La garzetta è la mascotte naturale del luogo, insomma. È stata dipinta di recente nella bella raffigurazione della Madonna delle risaie che dal 2016 campeggia su un muro di una delle cascine del parco, la San Marchetto. Come noi, la garzetta vive in simbiosi con le coltivazioni di riso. I nidi di gruppo, le garzaie, sono sugli alberi, inaccessibili ai predatori terrestri e difesi anche dall’acqua. Nonostante l’aspetto aggraziato è una formidabile cacciatrice-pescatrice, che infilza le prede col lungo e forte becco camminando nell’acqua della risaia. Ma ha anche un’altra forma di predazione, che rivela una certa intelligenza naturale: per vedere meglio le prede nell’acqua plana lentamente, facendo ombra con il proprio corpo per eliminare il riflesso sull’acqua. C’è qualcosa da imparare sempre, dagli animali. 

Gli aironi veri e propri invece stanno più appartati in questa stagione, per sguinzagliarsi poi in estate quando le acque delle risaie li attirano irresistibilmente. Ma sulle stradine rialzate rispetto ai campi irrigui è anche un fiorire di esseri umani: runner, ciclisti, perditempo che camminano senza fretta con o senza il cane, fotografano, ricordano, chiacchierano seduti sul ciglio della stradina (non c’è neanche una panchina, è un parco agricolo!). Pare si svolgano qui anche sedute e incontri di Yoga e meditazione. Come vedremo più avanti, a buona ragione.

Quello delle risaie da “Ambito”, com’era definito prima, è diventato “Parco” grazie ad alcuni che hanno scelto di continuare il lavoro dei genitori nelle cascine e di dare vita alla zona in modo insieme antico e moderno. Hanno fatto venire come battistrada le scuole con i bambini urbani per far loro vedere una cascina e i suoi lavori, hanno coinvolto la Fondazione Cariplo, dato il via a pranzi sull’aia a base di riso, promosso la Strada del Riso con un buon marketing. Oltre alla sunnominata Battivacco, anche le altre cascine sono attive: la Basmetto coltiva le risaie e il mais, la San Marco è sede di una cooperativa sociale, la San Marchetto coltiva il riso e ha un allevamento di mucche, lo stesso fa la cascina di Mezzo. Tutte sono alquanto antiche. La cascina non è il passato, fa parte di Milano quanto i palazzi. Negli anni settanta e ottanta, quando arrivarono i casermoni e le case, i contadini litigavano con i cittadini, che non gradivano topi, pesticidi e zanzare; e gli agricoltori si sentivano assediati come gli indiani dei film. Ora le cose sono cambiate.

Il parco è di quasi settecento ettari non edificati, una rarità a Milano, del cui territorio amministrativo fa parte, e in tutta la metropoli. Recita il sito dell’associazione Parco delle risaie: “L’Associazione Parco delle Risaie Onlus è nata nell’ottobre 2008 dall’incontro tra un gruppo di cittadini residenti nel quartiere Barona – S. Ambrogio di Milano (Zona 6) e gli agricoltori, uniti dall’interesse comune di preservare e di valorizzare questa particolare area agricola urbana, per conservarne la funzione produttiva, promuovere attività di valorizzazione della natura, dell’ambiente e del territorio, e trasformare in un progetto concreto l’amore per questo luogo e la coscienza del suo valore.” E ancora: “Il Parco vuole mantenere la sua funzione agricola aprendosi però anche ad un pubblico di cittadini che possano tornare a comprendere e rispettare le regole non scritte che i cicli della natura impongono alle colture.” Qui si può capire anche perché il risotto sia una specialità culinaria milanese: la città emergeva dalle risaie, non dai campi di grano o mais. Spesso ci dimentichiamo il motivo delle cose più semplici, ed è un utile esercizio mentale ricordarcene. Il parco ha creato la “strada del riso” per guidare alla sua scoperta.

Acqua, brina e galaverna

Questo luogo è un osservatorio anche grazie all’acqua. Ci sono i fontanili, che permettono di averne in abbondanza: sono i punti nei quali sgorga risalendo dalla falda sotterranea; sono la benedizione della nostra terra, che la rende fertile. L’acqua che è materia ma anche sostanza spirituale, che riflette e fa riflettere. In primavera è stimolante vedere i campi seminati che cominciano a verdeggiare; poi arrivano le acque. Quando le risaie sono allagate, si può vedere il riflesso della città e del cielo e nell’acqua. E si può guardare se stessi, letteralmente, nello specchio liquido. Questo è uno dei motivi dell’attrazione inconscia che tanti provano per l’acqua. Lo racconta bene Piero Lembi in un libro esemplare sull’acqua a Milano (“Il fiume sommerso”). L’acqua affascina perché ci riporta al grembo materno e al grembo naturale marino da cui veniamo tutti e cui inconsciamente desideriamo tornare. È un’immersione mentale, quella che facciamo guardandola o entrandovi. Qui l’acqua non scorre come nei fiumi e non ondeggia come al mare, ma sta sul terreno e ci mostra letteralmente da dove viene il nostro cibo. Qui è governata dagli esseri umani, che a loro volta sono governati da essa. Se ci si guarda riflessi nella risaia, si vede la propria immagine mischiata ai virgulti di riso e magari a qualche animaletto. È un tornare alle origini, ricordare che siamo anche quello. Ogni riferimento simbolico è benvenuto, ciascuno può esplorare a modo suo l’allegoria.

In questo posto andar per risaie in estate non è molto rinfrescante perché non c’è ombra; non ci sono filari di alberi come per tradizione ci sono ancora in alcune rare zone (nel Pavese, per esempio). Però c’è il sole, che lungo le strade urbane e fra le case è merce più rara. C'è il cielo, una delle poche cose naturali che si può vedere anche fra le case cittadine. E comunque l’acqua rinfresca di qualche grado rispetto all’abitato ed è meta degli uccelli che sostano o anche solamente passano sulla città. Qui nel tardo autunno si godono tramonti suggestivi, ombre lunghe sulle stoppie geometricamente lavorate, e a volte ci si immerge nella nebbia residua (quando c’è ancora…) che avvolge le cose e le trasfigura. La nebbia, ormai quasi sparita in città, qui ogni tanto nasconde la vista dei campi dai palazzi circostanti. Anh'essa in fin dei conti è una forma assunta dall'acqua in sospensione e ha un effetto regressivo, di cui molti hanno nostalgia anche se non rimpiangono l'umidità nelle ossa; trovarla riporta ai tempi in cui ero una delle presenze identitarie di Milano. Avete notato come sia ritornata un poco più abbondante del solito, in periodo di lockdown, quando abbiamo dovuto fermarci un poco, ridurre l’attrito delle nostre frenetiche vite? L’umidità nell’aria è tornata subito a ripresentarsi, forse per dirci qualcosa, che magari capiremo.

Anche in inverno l'acqua si trasforma, arrivano la brina e la magica galaverna (il ghiaccio ad aghi o scaglie che si forma sulle piante quando c’è nebbia, diverso dalla brina che è acqua quasi gelata che però non si solidifica come la galaverna). Quando non c’è la neve, anch’essa presenza quasi sparita come la nebbia. Cose che nel surriscaldato centro abitato a fianco stentano a manifestarsi. Qualche bambino, qualche ragazzo può scoprirle uscendo dai vialetti addomesticati, qualche adulto dall’animo sospeso o qualche anziano in cammino lento possono sentire un che di naturale sulla pelle e nei polmoni, anche se vive in un grande condominio che si affaccia sulle risaie.

Gatti e piloni

Nel parco ci sono segni di vita, comunque, non è solo uno spazio vuoto per noi cittadini che al più ci facciamo un’escursione, non ci lavoriamo certo di mani badile e trattore come quelli che stanno in cascina. Ci sono tantissimi chili di riso che passano direttamente nelle case degli abitanti dei dintorni. C’è una chiesetta del 1200 restaurata da poco, deliziosa, candida e sospesa sopra il livello delle risaie (si chiama  san Marchetto o san Marco al Bosco, a memoria di qualcosa che non c’è più: ma tutti i dintorni di Milano erano bosco, molto tempo fa). Curiosamente, la chiesetta è come sospesa in aria, più in alto dei campi  circostanti, perché il terreno attorno fu asportato per costruire una fornace. Ci sono angoletti incolti e verdi lungo i fossi dove si nascondono gli aironi, orti forse abusivi, ruderi sommersi dalla vegetazione da cui sbucano gatti vaganti, cosa sempre più insolita da vedere in città. A Milano e nell'Hinterland i felini vaganti sono quasi spariti per via delle automobili, della concorrenza spietata dei sempre più numerosi cani di proprietà e delle campagne di sterilizzazione per evitare il randagismo. I gatti sono piccole tigrette che appena possono disdegnano quei moderni parchetti squadrati e prevedibili affollati di cani, amano le ombre e il folto, pur nelle debite proporzioni, sono solitari e si nascondono per tendere agguati, anche se immaginari. Ecco perché dove si vede un gatto libero, anche se è un semirandagio che la sera torna a casa, significa che ha trovato uccelli o altro da mangiare, nascondigli sicuri fra le frasche, poca massa umana deambulante a infastidirlo e pochi motori che possano farlo stramazzare sull’asfalto. È un indicatore ecologico anch’esso, il gatto, in città e dintorni. Ed è anche una sorta di sentinella spirituale che significa “qui si può meditare e fantasticare”: mentre il cane è sempre attivo, attento, desideroso e prodigo di attenzioni, presente, frenetico nella curiosità, il gatto si assenta spesso e volentieri, viaggia altrove con la mente (anche gli animali ne hanno una, o meglio fanno parte della stessa grande mente collettiva in cui siamo immersi tutti), sta fermo per ore a guardare nel vuoto e al massimo guizza folle in un secondo all’occorrenza, per tornare poi al torpore assoluto in un amen. Due mondi diversi, il cane e il gatto, l’uno più domestico l’altro semiselvatico. Anche fra gli esseri umani ci sono differenze del genere. Non sempre è facile capirsi. Ma ci sono molti cui piacciono sia gli uni sia gli altri.   

Come in tutte le lande poste appena fuori dall’abitato, qui si vedono i piloni e fili elettrici che trasportano linfa vitale ai nostri marchingegni e alle nostre vite umane. Non sono esseri viventi ma ricordano come l’elettricità ci tenga in vita a milioni, qui, esattamente come il riso che viene coltivato sotto. Non sono artistici, nessuno li fotografa, nessuno li tutelerà in futuro come bene culturale, quei poveri piloni cui va tutta la mia slidarietà: stanno lì per noi ma è come non esistessero, li lasciamo andare in malora. Eppure, come alberi anche se di metallo, accolgono anche gli uccelli quando devono sostare. Fanno la loro parte senza che nessuno si ricordi di loro. In questo hanno molto in comune con la campagna e la natura, che permettono ai cittadini di vivere anche se questi ultimi se ne dimenticano. 

Parco delle risaie

In fondo a via Barona, venendo da piazza Miani. 

Come ci si arriva

Con i mezzi: autobus 47 e 95 (via Faenza)

Apertura

Sempre aperto

A chi rivolgersi

Associazione Parco delle risaie, 366 6551522, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. www.parcodellerisaie.it