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Asterix in Padania

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

ASTERIX IN PADANIA: GLI ULTIMI BOSCHI A OVEST DELLA METROPOLI, FINO A QUANDO?

 

I tossicodipendenti da cemento, asfalto, merci, finanza e “sviluppo” non ce la fanno più. Assuefatti, hanno bisogno di dosi sempre maggiori. Persi nelle loro allucinazioni, credono davvero che sia possibile trovare sempre più piacere nel far soldi distruggendo tutto quello che non è tale.

Devono cementificare sempre di più, ovunque, a ogni costo, riciclare soldi sporchi, investire, costruire. Per andare più veloci, far crescere l’economia (la loro), soddisfare i loro appetiti, espandere l’impero delle merci. Un acefalo mostro stile fantascienza, ormai, questa mega macchina che procede senza senso.

Allora ci vogliono strade, strade, camion, centri logistici giganti e al diavolo la campagna, i navigli costruiti ai tempi di Leonardo con una certa sapienza, al diavolo e le bellissime campagne che ci rendono ricchi, basta con l’aria che respiriamo e i cibi sani che potremmo avere senza quei veleni sparsi ovunque. Ci si sente sempre sotto assedio, in questa pianura lombarda, in questa metropoli fra le più inquinate del mondo. Ci si sente come in un fumetto, proprio quello di Asterix: un villaggetto circondato interamente dagli imperialisti Romani che si intestardiscono a sconfiggere gli ultimi Galli liberi. Ci serve una pozione magica per mantenere la forza di contrapporsi a questo coacervo di inquinamento e rumori?

Un villaggetto stile Asterix del genere esiste davvero, verso Abbiategrasso: è Cassinetta di Lugagnano, primo e finora unico paese in Italia ad aver deciso di non costruire più nulla, per vivere nel verde, dal 2007. Un gioiellino sul naviglio, meta di buongustai e di amanti del verde e della tranquillità, con la magnifica Villa Visconti utilizzata per matrimoni da favola e ora anche per matrimoni "per la Terra". Proprio qui fu fondato il movimento "Stop consumo di suolo" e oltre a essere uno dei borghi più belli d'Italia Cassinetta fu uno dei primi "Comuni virtuosi", che si distinguono per le politiche ambientali e sociali rispettose e lungimiranti (https://comunivirtuosi.org/). 

Ma si può lasciare in pace un posto del genere, dove i cittadini, che sfrontati, hanno scelto così? No certo. Proprio da quelle parti è in progetto l’ennesima superstrada-tangenziale-obbrobrio che devasterebbe una delle campagne più belle a due passi da Milano. Da Ozzero-Abbiategrasso a Malpensa, solito progetto folle e criminale. Oltre a Cassinetta, altri comuni della zona sono contrari, sono contrari il Parco Sud, la Città metropolitana e quant’altro possibile: ma l’Opera s’ha da fare. La Grande Opera, sinonimo di Grande devastazione. Spacciata per l’unica realtà possibile, l’unico modello di sviluppo esistente. Purtroppo gli imperialisti delle merci ora stanno mettendo sul piatto molti soldi e, salvo l'improbabile successi dei ricorsi contrari, la superstrada pare sul punto di iniziare. Qui il link a un recente articolo dell’Informatore Vigevanese che descrive la situazione>>. 

Eppure la zona meriterebbe ben altro che di scomparire per mano della dittature dell’asfalto. A due passi dal villaggetto infatti, oltre a un’agricoltura florida, ai navigli e a monumenti storici, restano gli ultimi lembi dei boschi di pianura lombardi. 

I boschi dell’Ovest milanese

Poco più a Nord ci sono i boschi di Vanzago (ne parlo qui>>) e del Parco del Roccolo (qui>>). Il primo protetto in quanto ex riserva di caccia e oggi oasi WWF. Il secondo parco agricolo ma con alcuni lembi di bosco fra cui querce centenarie.

Ma anche in questa zona leggermente più a sud, lungo la direttrice Baggio-Abbiategrasso, resistono alcuni boschetti a testimoniare l’originario querco-carpineto, la tipica formazione boschiva planiziale (ovvero di pianura) lombarda di una volta. Ovvero quel bosco basato sulle querce e sul carpino, alberello associato alla maestosa quercia.

Il maggiore dei boschi locali è quello di Riazzolo, nei comuni di Albairate, Cisliano e Corbetta. Sono 65 ettari, in maggior parte cintati nei pressi di due cascine che sono anche agriturismi, la Forestina e la Riazzolo, lungo la strada che porta da Cusago a Gaggiano ed Albairate e poi fino ad Abbiategrasso.  Come il bosco di Vanzago, il Riazzolo si salvò perché era una riserva di caccia: era nientemeno che degli Sforza, che fecero istoriare anche il castello di Milano con scene delle loro imprese venatorie.  Il termine stesso Riazzolo deriva dal milanese antico “riazzoeu” , ovvero una reticella da caccia per catturare quaglie e altri uccelli. Il bosco a metà dell’Ottocento divenne proprietà di uno scrittore e diplomatico, Alberto Carlo Pisani Dossi. I suoi eredi ne continuarono l’opera di tutela; e negli ultimi decenni intervennero anche l’Unione Europea e il Parco Sud Milano per salvarlo.

Il bosco è diviso in due dal canale scolmatore dell'Olona: a nord c'è la porzione meno grande, che non è recintata ed è attorniata da campi, in direzione di Corbetta. Nella parte cintata, più grande, del bosco si entra invece dalla cascina Forestina in comune di Cisliano, che lo custodisce e vi svolge esperienze di educazione ambientale. Ci si aggira fra querce e altri alberi che appaiono molto antichi e se ci si lascia andare all’ascolto e alla meditazione sembra di risalite a tempi preromani. Gli antichi tronchi muschiosi evocano gli spiriti silvestri che dovettero abbondare in zona prima dell’invasione umana. Fu infatti dall’arrivo dei Romani che l’agricoltura si espanse a discapito del bosco; ma qui miracolosamente ci sono ancora tronchi alti, c’è ancora acqua, ci sono fontanili e risorgive (fra parentesi, uno dei simpatici fontanili si chiama Risotto: nei dintorni ci sono risaie, propaggine dell’area risicola che dalla campagna pavese arriva al novarese e al vercellese).

Resta insomma un luogo ricco di acqua e ombroso, al punto che qui si tenta di ripopolare uno degli abitanti meno noti del bosco umido, il raro rospo  Pelobate Fosco, uno degli anfibi più minacciati d'Italia. Un personaggio chiamato anche "rospo della vanga" perché scava e sta nascosto sotto terra, per difendersi dai predatori. Ma ci sono molti uccelli fra i rami e altri animali a vivere nel bosco. 

Altre informazioni compresa una storia estesa del bosco e informazioni sulle visite qui>>: 

Pelobate Fosco, il rospo "della vanga"

 

Fontanile nel bosco di Riazzolo

Il Bosco di Cusago

A due passi da Cisliano in direzione di Milano, Cusago è noto per il castello sforzesco, replica in miniatura del castello milanese. Purtroppo è un monumento lasciato in semiabbandono. I dintorni, prima dell’alluvione berlusconica locale, erano “tutta campagna”, come si suol dire. Ci si andava da ragazzini in bici partendo dai dintorni dello stadio di San Siro per gitarelle che si concludevano a dissetarsi a una fontana storica di Cusago, in piazza (ma chissà se c’è ancora). Oggi restano pochi campi ma anche una piccola area naturalistica, 9000 metri quadri di proprietà del Comune di Cusago. La “Cavetta” è  per metà boschetto e per metà fatta di due laghetti di cava, e vi si svolgono attività ricreative e di educazione ambientale; pare resti traccia qui di un naviglietto con cui gli Sforza irrigavano le loro tenute.  

A Cusago poi c’è un boschetto di 13 ettari, privato e difficilmente visitabile, in direzione di Cisliano. Chi l’ha visitato “di straforo” o per rilevamenti scientifici racconta di un piccolo angolo ricco di vegetazione, simile in tutto al vicino bosco di Riazzolo. Vi si tagliavano alberi, poi dal dopoguerra è stato lasciato a sé e ci sono alberi caduti, fiori e poche radure. È delimitato da fontanili.

Il Bosco dei Cento Passi

Un altro piccolo boschetto della zona ha una  storia completamente diversa: è il Bosco dei Cento Passi di San Vito (Gaggiano). Pur essendo parte del Parco Agricolo Sud Milano, venne acquistato da un capomafia. Ma nel 2005 è stato preso dal Comune come patrimonio confiscato alla mafia (si chiama così in omaggio a Peppino Impastato) e vi furono piantati alberi (alcuni dedicati a vittime della mafia) per restaurare il suo valore naturalistico, rendendolo visitabile a tutti. Oggi è affidato a un pool di operatori fra cui la Cascina Contina di Rosate, storico centro di iniziative sociali e di inclusione. Sono circa 16 ettari: piccolo ma importante, degno di una visita proprio oggi in in tempi nei quali la memoria di Peppino Impastato è stata definita “divisiva”.

Ecco come si racconta da sé il bosco (dal sito dedicato all’iniziativa: www.progetto100passi.it/bosco-dei-100-passi/: anche l'immagine seguente è tratta dal sito).

"Io sono il Bosco dei 100 passi e il mio nome viene da Peppino Impastato che credeva nella bellezza e nella giustizia sociale ma abitava a 100 passi dalla casa di un importante boss mafioso, Tano Badalamenti, che ne ha ordinato l’omicidio. Io e lui abbiamo una storia simile ma io ho avuto un destino migliore…

Ero parte del Parco agricolo sud Milano. Poi mi è successa una cosa terribile: sono stato acquistato da Salvatore Di Marco, un narcotrafficante di Cosa Nostra, che aveva un progetto ben preciso su di me: costruire appartamenti ed uffici.

Di Marco era a capo di un grosso giro di spaccio di sostanze stupefacenti che acquistava in Colombia e vendeva nel nord Italia. Grazie a delle lunghe e complicate indagini le sue attività illegali furono scoperte, Di Marco fu arrestato e, fra i beni che gli furono confiscati nel 2002, c’ero anch’io.
Libero dal rischio di diventare cemento…

Nel 2005 vengo affidato al Comune di Gaggiano che ha voluto diventassi un parco aperto al pubblico, piantando assieme ad ERSAF più di 1.500 tra alberi ed arbusti, creando una marcita, un laghetto per birdwatching e tre piccoli stagni.

Nel 2016 il Comune di Gaggiano firma una convenzione per la mia gestione con la Cooperativa Sociale Contina di Rosate, con Libera – associazione nomi e numeri contro le mafie e con il DESR – Distretto di Economia Solidale Rurale del Parco Agricolo Sud.

Se vogliamo essere precisi, quello che fanno questi amici con me è una: gestione di utilità sociale e di interesse pubblico.

Ed eccomi qui.

Esempio vivo di riutilizzo di un bene confiscato, così come voluto dalla Legge Rognoni – La Torre 646/1982 e previsto dalla Legge 109/1996.

Sono cresciuto negli anni e mi sono mantenuto in forma grazie al lavoro di molti volontari e di Associazioni che hanno capito che posso continuare a vivere solo se vengo protetto.


Nel prato della memoria.

Su alcuni dei miei alberi puoi trovare i nomi di vittime innocenti di mafia. 

Passeggiando puoi scoprire il frutteto inusuale, che produce more ed altri frutti ed ha la forma di una foglia di quercia farnia; poco distante c’è anche una meridiana a mosaico.

Insomma sono ricco di sorprese che spero apprezzerai.

Ti prego di rispettarmi e trattarmi con cura soprattutto in nome di tutte quelle vittime innocenti di mafia che onoro.

Ti chiedo di diventare -tu stesso- responsabile

E protagonista di quello che accadrà tra le mie foglie e sui miei prati.

 

 

 

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CHIARAVALLE, UN CALCIO A 1000 ANNI DI STORIA? NO, GRAZIE!

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

CHIARAVALLE, UN CALCIO A 1000 ANNI DI STORIA? NO, GRAZIE!

Lo stadio a San Donato Milanese o meglio a Chiaravalle: a che punto siamo?

Hanno detto no già migliaia di cittadini di San Donato Milanese, che stanno chiedendo anche un referendum. Dicono di no perfino i frati di Chiaravalle normalmente silenziosi per vocazione; ma anche la comunità religiosa di Nocetum, porta d’ingresso del parco Vettabbia e promotrice del Cammino dei monaci (https://www.valledeimonaci.org/), e le parrocchie di Chiaravalle  e Santa Rita (zona Corvetto), perché lo stadio sarebbe in realtà più vicino a Chiaravalle che all’abitato di San Donato (Chiaravalle fa parte di Milano pur essendo un borgo inserito in ambito agricolo).

 

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Le farfalle all'Idroscalo, e oltre! Il verde nell'Est Milano

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

Le farfalle all’Idroscalo e oltre

Nell’area a Est di Milano il verde è poco e separato dall’abitato da tangenziali, ferrovia e Lambro. Ci sono iniziative per collegare la città ai parchi esterni, Forlanini e Idroscalo. Ma restano tanti problemi e aumentano le minacce per la salute.

Sullo stradun per portava all’Idroscalo… cantava Jannacci. Il poveraccio coi scarp de tennis per arrivare all’Idroscalo doveva chiedere un passaggio su una macchina, dove non era mai salito. “Bella questa macchina, non sono mai stato su una macchina”. Erano gli anni Sessanta, di quattroruote ne circolavano ancora poche. Di macchine invece ne sono arrivate poi a dismisura, da quelle parti. Non fanno più notizia, come ovunque. E di TIR, SUV e quant’altro. La tangenziale Est di Milano, leviatano del traffico, troneggia su tutta la Zona dell’Ingorgo Permanente, a ridosso dell’abitato, e oggi ha figliato la tangenziale esterna. A Ovest almeno la Sacra Carreggiata sta un po’ più in là, anche se come sempre attrae a espandere la crosta cementizia e capannonistica incrostando l’Hinterland Infinito.

Mentre gli abitanti di Milano Sud, insomma, possono sgranchirsi un poco le gambe nei parchi agricoli, quelli dell’Ovest escono di casa e fanno ormai chilometri a piedi nel verde e quelli a Nord hanno il grande Parco Nord per spaziare, i periferici dell’Est in genere finora hanno dovuto prendere auto o mezzi pubblici per andare nel verde. Io stesso, da neoabitante del Sud Est, fino a poco fa per trovare un po’ di verde andavo all’Idroscalo o al Forlanini… ma dovevo andarci in auto, contribuendo così nel mio piccolo al Grande Ingorgo. In bicicletta rischiavo l’arrotamento ogni volta, ci rinunciai. Il paradosso milanese al cubo: per trovare un po’ di natura, il mutante abitante della metropoli già oppresso da nebbie cariche di particolati fa del suo per distruggerla, volendo o non volendo.

L’Ingorgo Permanente

Perché qui a Est è particolarmente pesante la situazione? Perché c’è qualcosa in più rispetto all’Ovest: c’è il più vasto concentrato di trasporti, il Grande Nodo Viario, logistico e onnicomprensivo del milanese. Terra, aria e sottoterra, tutti occupati dai mezzi e dagli strumenti che servono al Movimento Perenne Forzato Universale di cose e persone. Tutti ridotti a merci e in quanto tali rimovibili e spostabili ovunque. C’è l’aeroporto di Linate, c’è la metropolitana, ci sono infiniti poli logistici, c’è Segrate con Milano 2, il San Raffaele con la sua metropolitanina privata, il polo ferroviario e commerciale dell’ex Dogana dov’erano i campi, c’è Cologno Monzese con la torre catodica che attrae a sua volta traffico per diffondere le sue onde televisive, incastonata fra ben due bretelle tangenzialiche, c’è il tratto ferroviario principale di Milano che va da Rogoredo a Lambrate alla Centrale. Tutto ciò separa la città-città dall’Hinterland in modo molto più netto che a Sud e Ovest, dove resta qualche squarcio verde e perfino i caprioli e le volpi chissà come riescono passare oltre la tangenziale verso il ventre della metropoli.  

A far da barriera qui c’è perfino un fiume, l’unico rimasto allo scoperto della città, il Lambro, che serpeggia fra quartieri e campi residui. E da qualche anno s’è aggiunta la neoautostrada surreale BreBeMi, sempre vuota perché costa il doppio di quelle normali (e che ha trasformato una stradella che andava verso Vignate e l’Adda, che percorrevo in vespa, in un velodromo). Qui ha tranciato a metà la megatenuta Trenzanesio della Villa Invernizzi, una delle poche macchie verdi, dove i ragazzi di campagna della zona entravano di straforo per fare bisboccia notturna e dove forse ancora vivono ungulati cari ai ricchi proprietari. Vicino alla tenuta c’è anche uno dei pochi fontanili rimasti, quello di Castelletto nel comune di Pioltello.

Insomma, un groviglio omerico nel quale il verde stenta ed è difficilmente raggiungibile dalle case della gente comune. Anche le cascine che qui resistono sono fisicamente separate dal resto della città da barriere stradali, ferroviari e fluviali: la meritoria cascina Biblioteca fra il Parco Lambro e Segrate, sede di iniziative sociali e di inclusione con una angoletto di natura attorno (c’è anche un “asilo nel bosco”, ci sono le api e un negozio di prodotti biologici), la cascina di Monluè, ora divenuta impresa sociale, con il parchetto attiguo oltre il polo logistico CAMM (fra il quartiere Forlanini e l’aeroporto) e a due passi dal fiume che costeggia l’aeroporto. Più oltre ci sono l’ansa del  Lambro  e l’Oasi Levadina di San Donato, di cui ho parlato  altrove.  

L’Est Milano, rivolto verso Bergamo-Brescia e il mitico NordEst italiano tutto traffici e capannoni,  insomma, è decisamente più intasato dell’Ovest, dove un sistema di verde c’è (Baggio-Cave, Boscoincittà-Montestella-Parco di Trenno nonché l’ancora possibile Piazza d’Armi). A sud della metropoli l’istituzione Parco Sud finora ha salvato a stento qualche zona agricola (Risaie, Ticinello, Vaiano Valle-Vettabbia-Porto di mare; ma anche qui incombe l’ansia predatoria regionale e il futuro del parco Sud è tutt’altro che scontato). A Nord ci sono il grande Parco Nord e altri scampoli (Parco Ex-Paolo Pini con il vicino Parco della Balossa a Novate).

A est della metropoli c’è solo qualche zona verde addomesticata: i parchi Lambro, Forlanini e dell’Idroscalo. Soprattutto quest’ultimo è perfino bello ed è prezioso per la gente.

Ma questi parchi sono poco wild, stretti fra le suddette megastrutture per il movimento meccanico.  

Un altro piccolo parco semiboschivo a Pioltello è quello della Besozza, 37 ettari dietro a Milano San Felice e sopra due laghetti di cava.  Qui c’è un’area piantumata con percorso naturalistico, c’è una bella cascina storica – la Cascina Camposiglio), ma l’effetto natura è schiacciato dalla sempre affollata area grigliate. 

Come ho già raccontato in altri articoli, ci sono oasi di verde nell’Est milanese ma lontane dalla città: l’oasi del Carengione di Peschiera Borromeo, le Sorgenti della Muzzetta a Rodano – Settala, l’oasi Levadina a sud dell’aeroporto di Linate e l’ancora più lontana Oasi della Martesana, fra Melzo e Pozzuolo Martesana.

Vicino a Milano, dunque, a Est ci sono solo lembi di verde: oltre all’ansa del fiume a Ponte Lambro e più giù la piccola forestazione a San Giuliano Milanese, di cui parlo altrove, l’unico angoletto similselvatico qui nell’est milanese è il Laghetto delle vergini dell’Idroscalo, due ettari e mezzo, un tempo gestito dalla Provincia, ora non si sa bene da chi e come. È (era?) un piccolo polo di educazione ambientale e all’aperto, protagoniste le farfalle per attirare le quali sono stati piantati arbusti che loro gradiscono per la fioritura. Fu recuperato dal degrado e dai rifiuti, storia comune ai tanti punti di scavo. Cintato, ora risulta spesso chiuso, conseguenza forse dell’inabissarsi della Provincia nelle sabbie mobili della Città metropolitana; e lo stesso Idroscalo appare minacciato da nuovi poli logistici dell’Impero delle Merci su Strada che avanza. Nei weekend estivi comunque è attrattore di traffico perenne anche per lo svago e la possibilità di fare sport e il bagno in acque pulite. 

L'Idroscalo visto dalla punta Sud

Cave, scavi e movimento terra

Eppure ci sarebbero molti laghetti da ex cave da recuperare a verde: i laghetti sono un punto magico di resistenza della vita, oggi detta biodiversità. Esisterebbe anche, almeno sulla carta, un PLIS (Parco Locale di Interesse Sovracomunale) detto “Parco Est delle Cave” nei comuni di Cologno Monzese, Vimodrone, Brugherio, Carugate, Cernusco sul Naviglio. Ma appunto per ora sembra un simulacro. Anzi, uno specchietto per le allodole o l’ennesimo carrozzone burocratico. Alcune di queste cave sono lasciate alle solite pesche sportive o iniziative private, altre sono in abbandono, altri laghetti come il Gabbana di Vimodrone sono riempiti pervicacemente di terra per farne non si sa che, con scorno dei residenti che fino a poco fa ne godevano la vista semiselvatica con tanto di uccelli di passo e oggi assistono al suo interramento. Alla faccia del parco delle cave. A pro di qualche ennesima impresa di movimento terra, un must dell’Hinterland infiltrato da n’dranghete varie e camarille  istituzionali.

Più a Nord, da Bussero e Carugate in poi in direzione della Brianza, c’è anche il fantomatico Parco Agricolo Nord Est. Anche qui resta poco di selvatico, appunto, e tutto appare confinato alle carte,  ai cassetti  e ai fondi di amministrazioni che hanno tutt’altro in mente: in Regione si pensa più a tenere in vita l’agonizzante caccia e a nuovi nastri d’asfalto, che ai polmoni e ai cuori dei cittadini. Fino alla prossima emergenza.

Il Grande parco Forlanini

Tornando alle immediate vicinanze della città, c’è l’eterna idea di ingrandire il parco Forlanini allungandolo verso la città e verso l’Idroscalo, raccordandoli. Una tranche di pista ciclabile ha visto la luce dopo decenni lungo via Corelli. Dopo la storica associazione Greem-Gruppo Ecologico Est Milano, che dagli anni Ottanta ha contribuito a riqualificare il Forlanini e il suo laghetto Salesina, oggi il testimone è passato all’associazione Cascinet che gestisce la Cascina Sant’Ambrogio a ridosso dell’inizio del viale Forlanini e ai piedi di un gasometro, e ai cittadini della zona Argonne – Forlanini – Ortica che chiedono un passaggio verso il parco Forlanini con un ponte sopra la ferrovia. E spingono a creare il Parco Grande Forlanini, appunto, recuperando anche la parte agricola residua al di qua della tangenziale, dove sorge appunto la cascina Sant’Ambrogio che fa da porta d’ingresso e dove è stato aperto il nuovo canile municipale modello. Per ora questo abbozzo di parco è chiamato "Ambito Forlanini". 

L'ambito Forlanini, area limitrofa alla Tangenziale Est

Certo, un parco attraversato da una tangenziale non è propriamente wild, ma sarebbe un grande passo avanti poter andare a piedi al di là della tangenziale, per chi ne subisce solo le conseguenze negative sui polmoni e le orecchie. Sempre meglio che nuove case, uffici, case vuote e uffici vuoti, capannoni e hub pieni o vuoti. Hai voglia a chiamarlo consumo di suolo, ormai bisogna definirlo “distruzione del suolo”: consumo è un termine ambiguo, dà l’idea che si possa usarne altrimenti che lasciandolo com’è.

Limiti dell’iniziativa? La solita partecipazione del Politecnico di Milano, della Fondazione Cariplo e della comunale Milano Green Week. Tutti sponsor della sostenibilità, che ormai è una parolaccia. Questo sistema dei bandi e delle prebende da tempo ormai ingabbia tutto il volontariato milanese spingendolo verso attività più di facciata che di sostanza. Passato il superbonus per le facciate, insomma, che cosa resterà? In parole povere e senza fare nomi: il Politecnico, che si affanna per disboscare la foresta spontanea della Goccia per ampliare le proprie costruzioni, e che spalleggia l’ENI che fa del greenwashing la propria stella polare, che cosa può garantire di buono in questo senso altrove? Speriamo vivamente di essere smentiti dai fatti.

Il parco della Lambretta: inalazioni tossiche e decibel

A tale proposito, un esempio concreto seppure surreale: un parco sotto la tangenziale esiste davvero, è il Parco dell’Acqua (oggi Parco della Lambretta, conosciuto anche come parco Maserati) realizzato da poco vicino a Via Rubattino e via Pitteri, dove c’era la fabbrica automobilistica dell’Innocenti. Dismesse le attività industriali nel 1993, si cominciò a pensare cosa fare dell’area. Un tantino inquietante, con i TIR che sfrecciano sopra le teste dei bambini, con il Lambro che lo attraversa olezzante anzichenò, con i rumori tonitruanti dei millanta autoveicoli che sfrecciano o vanno a passo d’uomo e piovono dall’alto (si spera solo irumori, intendo) sulle orecchie dei frequentatori del parchetto. Un poco insultante nei confronti  del buon senso. Del resto, han costruito nuove case di fianco alla tangenziale e la gente ci è anche andata a vivere. Vuoi fargli o no il parchetto canonico per i vecchi, i bambini e i cani? Per non parlare dell'asilo e della scuola... Tutti lì a respirare biossido d'azoto a volontà! Non si rimpiange il passato industriale e di abbandono della zona, sempre meglio che l’abbandono al degrado, ma viene un poco da piangere (e da ridere) a immaginare che queste aiuolette sotto ai piloni con tanto di graffiti murali e panchine per inalazioni da scarichi automobilistici soprastanti passino come contributo alla salute dei cittadini e magari siano conteggiate nelle statistiche sul verde urbano. Più che di greenwashing qui si tratta, mi pare, di greenkilling.

Il Parco Lambretta, sotto la Tangenziale

Informazioni

Informazioni storiche sul Forlanini e l’Idroscalo: Greem – Gruppo Ecologico Est Milano https://win.greem.it/

Cascinet – Cascina Sant’Ambrogio e https://cascinet.it/

Cascina Biblioteca https://cascinabiblioteca.it/

Cascina Monluè https://www.cascinamonlue.it/

I PLIS - Parchi Locali di Interesse Sovracomunale della Città Metropolitana di Milano - https://www.cittametropolitana.mi.it/Parchi/aree_protette/plis/index.html

Sul Parco di Villa Invernizzi>> 

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Dove osano le libellule: laghetti e acque del Parco Agricolo Sud Milano

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

DOVE OSANO LE LIBELLULE

Se a Milano ci fosse il lago… ma c’è! Anzi, ce ne sono decine!

A sud di Milano, anzi sui tre lati Ovest-Sud-Est c’è una vera “mezzaluna fertile”, per fortuna tutelata (per ora…) dal Parco Agricolo Sud Milano. Attorno alla città, nell’area metropolitana e nell’hinterland, fra i campi e le cittadine c’è abbondanza d’acqua. Risaie, rogge, canali, fontanili e decine di laghetti, quasi tutti originati da cave. Pochi sono accessibili a tutti, molti sede di pesca sportiva o di associazioni e privati, altri ancora sono riserve naturali. È una ricchezza naturale e paesaggistica e una risorsa ambientale importante. Testimonianza del fatto che Milano galleggia letteralmente sull’acqua, da sempre: molte sono ex cave che si sono riempite di acqua di falda; alcuni di questi laghetti invece sono alimentati da acque irrigue, in genere i più piccoli.

Tutti questi laghetti sono o potrebbero essere centro di riproduzione della natura e oasi per salvaguardare la diversità, mitigare i cambiamenti climatici, tutelare la vegetazione e gli  animali e la salute degli umani. perché l’agricoltura praticata nell’area del parco è comunque del tipo invasivo: boschi, siepi, alberi, zone incolte sono molto rare, ormai. In effetti nei primi anni della sua istituzione il Parco ha provveduto a recuperare alcune aree del genere (ne parlo più avanti). Ma purtroppo il Parco Sud, nato negli anni Novanta del secolo scorso da un forte movimento dei cittadini e degli amministratori locali, oggi langue, divenuto un carrozzone burocratico quasi inerte. Simbolo dell’associazione per il Parco Sud: la rana, onnipresente un tempo nelle acque; c’è ancora un piccolo borgo, a Milano, a testimoniarlo: Ronchetto delle Rane. L’altro simbolo non ufficiale  oggi del parco è la libellula: nei molti laghetti è una presenza che segnala la salute del luogo.

Con la scomparsa della Provincia di Milano, che lo amministrava, annacquata nella Città metropolitana, il parco ha perso mordente; inoltre, sparite le polizie locali provinciali che controllavano caccia e pesca, sparito il Corpo Forestale dello Stato, i controlli ambientali antiinquinamento, anticaccia e anti-tagli dei boschi sono ormai fantasmi. Resistono poche oasi gestite direttamente da cittadini volontari, le altre sono alla mercè di abusivismo e incuria (come nel caso dell’oasi di Lacchiarella, negli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso all’avanguardia per tutela naturalistica e oggi semiabbandonata, e vedi più avanti l’esempio del Lamberin di Opera).    

 

Aironi guardabuoi al Lamberin di Opera (foto di Alessandra Previtali)

Identikit dei laghetti attorno a Milano

Partendo da Ovest e procedendo verso Est ci sono:  

-        il lago di Monzoro e laghetto di Amis a Bareggio

-        i laghetti del Parco delle Cave a Baggio

-        i laghetti “dei cigni” a Muggiano e il laghetto Mezzetta a Trezzano sul Naviglio (di questo, divenuto di recente oasi naturale, e delle cave in generale parlo in quest’altro articolo>>)

-        il laghetto di Corsico con la vicina Cava Burgo nel parco della Resistenza a Corsico

-        il laghetto di Buccinasco

-        il Lago Boscaccio a Gaggiano (ex cava, è terreno privato ma di fatto un’oasi di 35 ettari dove il GOL – Gruppo Ornitologico Lombardo opera in convenzione per lo studio e la tutela degli uccelli con stazione di inanellamento; ci sono almeno 180 specie di uccelli nell’area, attirati dall’acqua)

-        il lago San Novo di Zibido San Giacomo

-        il Lago Santa Maria di Gudo Gambaredo vicino ad Assago

-        il lago Verde a Macconago, Milano

-        i Laghetti Carcana a Mulino di Cusico (vicino c'è una stazione per la riproduzione della cicogna)

-        il Lago di Basiglio (ne parlo qui più avanti)

-        i laghetti di Tolcinasco all’interno dell’oasi naturalistica omonima a Pieve Emanuele (ne parlo qui più avanti)

-        il laghetto di Lacchiarella (di fianco all’oasi naturalistica)

-         i laghetti del Parco Nord di San Giuliano Milanese

-        il laghetto Europa di San Donato Milanese

-        il laghetto Bellaria a Robbiano

-        i laghetti di Peschiera Borromeo e Mezzate

-        l’Idroscalo e il piccolo laghetto Salesina del Parco Forlanini (ne parlo qui>>)

-        il laghetto Malaspina a Milano San Felice e il vicino lago della Cava a Pioltello nel parco della Besozza

-        i laghetti di Redecesio e Centroparco a Segrate 

-        il laghetto del Gaggiolo a Vimodrone (dove invece viene interrato sconsideratamente  il vicino laghetto Gabbana)

-        il lago del parco Increa e il lago del parco degli Aironi a Cernusco sul Naviglio (nel parco Est delle Cave).

Questo per dire solo dei maggiori.

Una mappa la si trova sul sito del Parco Sud qui (carta naturalistica fatta dal TCI, Touring Club Italiano, che si può scaricare)

https://www.cittametropolitana.mi.it/parco_agricolo_sud_milano/pubblicazioni/cartografia.html

Lghetto Carcana a Cusico

Oltre ai laghetti ci sono molte cave ancora attive o appena dismesse, riempitesi d’acqua e chiuse e non praticabili. Per dirne solo alcune, le cave di Arluno e di Pregnana Milanese, la cava accanto al laghetto Capanna a Cusago, la cava di Ronchetto e la cava al parco delle Risaie alla Barona (di cui parlo qui>>), la cava di Basiglio (da non confondersi con il vicino laghetto, di cui parlo più avanti), la cava Tecchione a Sesto Ulteriano (comune di San Donato Milanese) appena sotto il borgo di Chiaravalle di Milano, la cava Fornace a Peschiera Borromeo.

Anche queste potrebbero diventare specchi d’acqua per la metropoli e per la natura.

Insomma,  Milano è circondata da una vera cortina d’acqua, che andrebbe valorizzata. Ma oltre all’inerzia attuale del Parco, ci sono voci insistenti che la Regione voglia accorpare il Parco Sud al Parco Nord, modo per… “annacquare” un ente che pur essendo molto depotenziato, oggi, resta però l’unico strumento di tutela per un territorio completamente diverso da quello a Nord della metropoli,. A Nord infatti la differenza del terreno, l’urbanizzazione selvaggia e il passato industriale non hanno nulla da spartire con la mezzaluna agricola della metà meridionale di Milano, che sconfina nelle propaggini Ovest ed Est in direzione del Ticino e dell’Adda, i due fiumi che delimitano l’area metropolitana. 

Questa grande area verde costellata di laghetti dà ristoro ai locali, umani, pennuti stanziali o migratori, soprattutto acquatici, agli animali a quattro zampe e agli anfibi (la rana è il simbolo del Parco Sud) e ai i pesci (anche se questi ultimi finiscono all’amo dei pescatori, che tuttavia quasi sempre devono poi ributtarli nei laghetti).   

Purtroppo la siccità degli ultimi due anni ha si fa sentire sulla scorta d’acqua: è sotto gli occhi dei molti che vanno all’Idroscalo, per esempio, la più vasta e popolare area “lacustre” di Milano. Ragione in più per tutelare una tale risorsa, che garantisce verde e svago a tutti.

Racconto qui di tre angoletti di natura vicini fra loro e belli da visitare, anche se il terzo  soffre di abbandono e incipiente degrado: il lago di Basiglio, i laghetti di Tolcinasco a Pieve Emanuele e la lanca del Lamberin a Opera. 

Il lago di Basiglio

Non è un laghetto nato per allietare la Milano3 di Basiglio, ovvero la seconda edizione del Milano2 di Segrate che il Gran Palazzinaro costruì alle origini dell’impero. C’era già prima di Lui, il laghetto, anzi era una cava. Il laghetto è diventato uno dei punti di passaggio e svernamento di uccelli fra i più importanti di tutta l’area Sud Milano: è uno dei più grandi laghi di cava del Parco. Su 26 ettari circa, grazie ad interventi di miglioramento ambientale, con la piantumazione di specie arboree autoctone, come l’ontano nero e i salici, oggi è casa di molti animali selvatici. Ci sono capanni per vedere gli uccelli acquatici e un arboreto didattico. Il laghetto è sempre aperto al pubblico: questo da una parte garantisce ai visitatori un luogo bello a due passi da casa e da Milano, dall’altra significa testuggini abbandonate nel lago con scorno degli abitanti originari, episodi di inquinamento delle acque, pesca abusiva con fili che s’aggrovigliano uccidendo animali selvatici… Soliti problemi dei luoghi preziosi ma “fruibili” senza controllo.

Vicino c’è il minuscolo centro storico di Basiglio, restato a testimoniare dell’era pre-Berlusconi, con una chiesetta e una bella fattoria ia ia oh a due passi dal laghetto: ci sono anche gli alpaca e gli asinelli, e si fanno iniziative sociali.

Laghetto di Basiglio

L’oasi dei Laghetti di Tolcinasco

A Tolcinasco invece l’oasi dei laghetti è chiusa al pubblico e cintata. Questo, come purtroppo spesso accade, è stato l’unico modo per salvarla da vandalismi, caccia e degrado. Si può visitare solo accordandosi con i volontari-responsabili dei laghetti. Infatti uno dei laghetti è sede di associazione di pesca sportiva. Gli altri sono appunto cintati, proprio di fianco al Golf Club di Tolcinasco, e curati appunto dai volontari-pescatori. Sono oltre 100.000 metri quadri, proprietà dal 1999 del Comune di Pieve Emanuele che sotto stimolo dei volontari ha tutelato l’area, con la collaborazione del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio dell’università di Milano Bicocca. Adelio, presidente dell’associazione Gruppo Pesca Castello, ci guida attraverso i laghetti: Laghetto della Rana di Lataste (la rana rara che viene ripopolata in alcuni punti del Parco Sud), il Laghetto delle Libellule e il Lago degli Aironi. Sono laghetti artificiali, alimentati dalla falda; attualmente nel laghetto degli aironi vengono rinforzate le sponde. Sono stati piantati alberi e arbusti: farnie, olmi campestri, carpini bianchi, biancospino, viburno e ligustro. Adelio ci mostra i frutteti didattici, l’apiario e il vivaio dei pesci (si dice così?), i capanni per le osservazioni ornitologiche (anatre, aironi, gallinelle d’acqua e altro ancora). Ci racconta dei gufi liberati qui, degli altri rapaci notturni, delle lamentele di chi vorrebbe sempre aperta l’oasi… ma che oasi sarebbe, allora, concludiamo insieme! Insomma, anche qui come altrove senza le recinzioni, la presenza dei volontari che intervengono e custodiscono ben poco ci sarebbe. È una visita breve ma incantevole.

Per le visite: 338 912 4756,

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https://www.facebook.com/oasitolcinasco/?locale=it_IT

Svasso nel laghetto degli aironi a Tolcinasco (foto di Alessandra Previtali)

Il laghetto degli aironi a Tolcinasco (foto di Alessandra Previtali)

Le lanche del Lambro meridionale: Il Lamberin a Opera, la Pizzabrasa a Carpiano e la garzaia di Gnignano

Oltre al Lambro vero e proprio c’è un altro Lambro, il Lambro Meridionale, poveretto, noto anche come Lambro Merdario, riferendosi alla sua professione che si può immaginare dal nome. Almenho così era definito nel Medioevo: Lamber Merdarius, appunto. Anche questo Lambro, come il fratello maggiore, è un po’ ripulito rispetto a un tempo: i depuratori fanno il loro lavoro.  Il Lambro Meridionale in realtà è un canale (uno dei mille della pianura meneghina), che nasce dalle parti di San Cristoforo e poi scorre nella zona meridionale di Milano fino a costeggiare il Gratosoglio, per entrare poi a Rozzano e Opera e finire nel Lambro vero e proprio. Fra parentesi, di fianco al Gratosoglio questo rio d’acqua sfortunato ha però una sua piccola gloria: semiabbandonato, ha le sponde ricche di alberi semiclandestini con il corredo di uccellini e piccoli selvatici. Al punto da essere stato il tramite per l’arrivo dei caprioli in città ai tempi della pandemia e del lockdown (vedi gli articoli sull’oasi Smeraldino di Rozzano e sul parco del Ticinello).

Però anche questo lambretto minore arrivato in campagna, dopo Rozzano, poteva sfogarsi come un fiume quasi libero, allagando qua e là la campagna, dove essa diveniva più bassa rispetto al centro di Milano. Appena prima di un avvallamento chiamato Valle delle Volpi, oggi in comune di Pieve Emanuele, in particolare restano due lanche in comune di Opera. Questa area naturale è detta del  “Lamberin”, ed è a due passi in linea d’aria dall’area dei Laghetti di Tolcinasco ma per arrivarci occorre passare da Opera; è nascosta dietro alla zona industriale, propaggine della crosta capannonica che incombe su tutta la Padania e che ogni tanto nasconde questi resti vivi.  I due ingressi sono da Via Lambro e da Via Adige.  Ma non ci sono indicazioni.

Le lanche sono i rami “morti” dei fiumi, che cambiando corso nel tempo lasciano dietro di sé acque ferme, in genere stagnanti ma poi in certi casi alimentate dalla falda o da rogge. Nella lanca si forma naturalmente una piccola oasi naturale, che attira uccelli acquatici o meno e animali selvatici. Un microlaghetto, o uno stagno che dir si voglia. Quelli a Opera sono stati tutelati su 23 ettari grazie alle solite misconosciute iniziative e attività dei volontari (riuscirono dal 1994 a far espropriare l’area per tutelarla anche da impianti industriali inquinanti dei dintorni), protetti dal Parco Sud e dal Comune, ma languono e si degradano: c’è un minimo di percorso naturalistico con capanni di osservazione e cartelli, c’è un’area di difficile accesso che si mantiene abbastanza integra, è stato fatto un frutteto didattico con gli studenti dell’istituto Istituto Tecnico Agrario Calvino di Noverasco di Opera grazie anche al locale GAS (Gruppo di acquisto solidale) e alla Fondazione Cariplo. Ma l’accesso libero e non curato, la mancata vigilanza e la scarsa manutenzione fanno sì che le panchine siano divelte, i cani vaghino liberamente a discapito degli animali selvatici e la “casetta  del bosco” sia una sede devastata di bisbocce con relativi rifiuti; anche gli orti abusivi appena fuori dall’area non brillano per decenza. E ogni tanto anche qualche sopravvissuto cacciatore fa incursioni. Chissà.

La lanca del Lamberin

Però intanto la lanca resiste. Per chi ama il Birdwatching è un luogo ideale: germano reale, gallinella d’acqua, airone cinerino, garzetta, martin pescatore e i piccoli passeriformi in quantità. Gli alberi sono quelli tipici delle golene, ovvero dei bordi dei fiumi: salici, pioppi bianchi, ontani neri, ma ci sono anche querce.

Più a Sud lungo il Lamberin c’è la sunnominata Valle delle Volpi; è una landa agricola, ma lungo le sponde del finto fiume c’è un'altra area naturale, anch’essa semitutelata: l’Area naturalistica di Pizzabrasa. E ancora più a Sud, sul Lambro Meridionale c’è una garzaia, la Garzaia di Gnignano (Gnignano è una frazione agreste del comune di Carpiano). La garzaia è un punto di nidificazione degli ardeidi, ovvero aironi e simili. un tempo queasi sparite, oggi stanno ritornando e ci si augura che anche questa sia ben tutelata anche in futuro.

Il povero Lamber Merdarius, insomma, oggi rappresenta un piccolo ma resistente corridoio ecologico che dal centro di Milano attraverso i navigli e giù giù fino alla Bassa pianura, fa da rifugio per gli animali e per gli umani che non hanno scordato di essere anch’essi tali almeno in parte. E quindi di aver bisogno com’è naturale di acqua, aria, terra e spazio. Scusate il pistolotto finale, ma quando ci vuole ci vuole.

 Un video sul Lamberin di Annibale Covini https://www.youtube.com/watch?v=Y--JgP2W9sI

 

I fontanili e le altre oasi del Parco Agricolo Sud Milano

Il patrimonio idrico-naturalistico della metà agricola della metropoli comprende anche fontanili, lanche di fiume e piccole oasi. Oltre a quelli che ho già descritti qui, ci sono:

 

-        i fontanili del Parco dei fontanili di Rho e di Settimo Milanese (ne parlo in un altro articolo)

-        la Riserva Naturale Fontanile Nuovo di Bareggio

-        il bosco di Cusago, il bosco di Riazzolo (nei comuni di Albairate, Cisliano e Corbetta) e il piccolo bosco dei Cento Passi a San Vito (ne parlerò in un prossimo articolo)

-        l’oasi Smeraldino di Rozzano (ne parlo in un altro articolo) e la nuova Oasi la Sorgiva sempre a Rozzano, vicino al centro commerciale Fiordaliso

-        l’oasi di Lacchiarella (oasi su 40 ettari di terreni privati ma in teoria pubblica, lungo la strada Melegnano-Binasco, fu all’avanguardia negli anni Novanta per gestione naturalistica e come punto importante di osservazioni ornitologiche; oggi né carne né pesce, trascurata dal Comune e dal Parco Sud)

-        l’oasi Testa del Fontanile Visconta a San Giuliano Milanese (WWF)

-        l’area naturale attorno alla cascina Santa Brera e a Rocca Brivio a San Giuliano Milanese,a due passi da Melegnano (ne parlo in un altro articolo)

-        il laghetto Gambarino di Rosate-Vernate

-        la zona umida di Pasturago-Vernate

-        le sorgenti della Muzzetta e il Fontanile Rile di Settala (ne parlo in un altro articolo)

 -         l’oasi Carengione di Peschiera Borromeo (ne parlo in un altro articolo)

Sono aree piccole ma preziosissime.  Tutte però sono in affanno, vista l’attuale deriva del Parco Sud e delle politiche di tutela.  

 

 

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Il moriglione sulla tangenziale: l’oasi naturalistica della Martesana

Scritto da Stefano Fusi. Postato in Notizie

Il moriglione sulla tangenziale: l’oasi naturalistica della Martesana 

Una nuova riserva naturale a Est di Milano, fra Melzo e Pozzuolo Martesana. Nasce da una cava per l’estrazione di sabbia e ghiaia usata per costruire la Tangenziale Esterna Est Milano (TEEM). A due passi dai Tir e dalle auto è stato recuperato grazie alle imprese, ai comuni e al WWF Le Foppe un bellissimo rifugio per gli uccelli migratori e stanziali e per animali che qui si salvano dal traffico e dall’inquinamento. Fra di essi il raro moriglione, la bellissima anatra tuffatrice appena salvata dalla caccia che ancora la mette in pericolo

Man mano che il groviglio metropolitano s’addensa, invece di ridurlo i geni dell’Espansione Permanente (EsP) pensano di risolvere i problemi con gli stessi modi in cui li hanno creati. Ovvero, nuovo traffico e nuove strade, invece di rafforzare il trasporto su rotaia. La tangenziale esterna a est di Milano, che va da Melegnano ad Agrate, è il totem inspiegabile, il nastro trasportatore del culto del Grande Ingorgo Permanente Effettivo al Servizio della Logistica. Costellato di svincoli per collegare autostrade, ha distrutto ettari ed ettari di campi e di suolo naturale fra Milano e l’Adda. Lo stesso si sta macchinando a Ovest, in una zona simile, ancora verde, in direzione del Ticino; ne parleremo prossimamente, sperando che là ciò non accada. 

Purtroppo le Tangenziali vengono dalla stessa radice semantica di Tangenti. 

Qui fra Melzo e Pozzuolo Martesana però alcuni naturalisti e amministratori locali hanno chiesto  fin dall’inizio dei lavori ai costruttori-distruttori di ridurre almeno l’impatto ambientale: la grande cava, ferita rimasta aperta a lato della nuova stradona, è stata resa alla natura. Da cinque anni non è stata toccata da costruzioni, non è stata interrata e s’è riempita d’acqua di falda. È in corso la rinaturalizzazione del laghetto e delle sponde. L’oasi è protetta dal 2019 dai volontari del WWF per conto dei comuni della zona. Perché è uno specchio d’acqua prezioso per la natura, le piante e gli animali. E quindi anche per noi, che siamo loro fratelli, per ora, si spera, ancora più che delle macchine.

Sono circa 30 ettari. Rispetto ad altre cave, ha avuto fin dall’inizio un impatto meno forte sull’ambiente, con sponde digradanti dolcemente. È stato un costo in più, risparmiare qualche decina di metri di scavo, ma solo sul piano economico: sul piano naturalistico, una salvezza. Di solito le cave le fanno con sponde completamente verticali, per massimizzare i guadagni. Qui  invece s’è formato un ambiente favorevole alla vegetazione subacquea e palustre e agli animali, soprattutto i volatili che possono sguazzare e riposare lungo le sponde e fra le frasche.

Le sponde dolcemente digradanti si sono prestate anche a inserire piante selvatiche e fiori per attirare le farfalle (il trifoglio rosso, ma è stata lasciata anche l’ortica per loro) e le libellule (ce ne sono 15 specie). In una lanca ci sono anche le ormai rare Tife. Sul terreno secco, ecco le orchidee selvatiche. Non sono stati inseriti pesci nel laghetto per non alterare l’ambiente e lasciar crescere le piante acquatiche. È stata creata una zona vietata alla caccia e sono state recuperati e sistemati degli isolotti artificiali galleggianti per la nidificazione. Ci sono stagni artificiali didattici che si sono presto popolati: sul citofono dello stagno sono elencati i signori Tritone, Raganella, Rospo smeraldino, Rana. Intorno sono segnalati anche i signori serpenti Biacco e Natrice dal collare, che si danno da fare a limitare i Topolini. E ci sono altri personaggi in circolazione: Tasso, Volpe, Silvilago – la minilepre-, Riccio.

I più numerosi però sono i signori alati, che svernano, fanno il nido o semplicemente passano per rifocillarsi, riposarsi o scampare alle doppiette dei residui orchi uccisori. Prima di tutto il raro Moriglione (Aythya ferina), scelto come simbolo dell’oasi: appena nel settembre 2021 è stato tolto dal mirino dei cacciatori. Molti altri uccelli ne hanno fatto la loro casa o soggiorno temporaneo, fra cui cigni, martin pescatori, svassi, folaghe, anatre di varie specie, codibugnolo, usignolo, canapino, falco lodolaio, barbagianni, allocco, canapino.

 

Il moriglione, simbolo dell'oasi

L’oasi è da visitare soprattutto in inverno, per vedere i molti migratori che vi si fermano.

Per informazioni e visite bisogna rivolgersi al WWF locale, che si occupa anche di altre due piccole oasi a Trezzo sull’Adda (l’oasi delle Foppe e l’oasi della Fornace).

www.oasilefoppe.it/oasi-della-martesana/

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